Quale ateismo?

Introduzione

Ateo è chi nega l’esistenza di Dio. Questa definizione sembra essere chiara, ma in realtà non lo è affatto. Da una parte, il termine «Dio» può indicare realtà estremamente diverse, e dall’altra, ci sono modi molto diversi di negare la sua esistenza. Ci sono coloro che prendono alla leggera questi problemi, facendosi beffe di essi, e nemmeno si pongono la domanda, fino a chi sviluppa teorie assai complesse per dimostrare — o tentare di dimostrare — che Dio non può esistere.

In questa sede, non affronteremo la controversia legata al termine «Dio», questione per altro già affrontata nei miei libri, ma ci concentreremo sul concetto di «ateismo», partendo dal significato che questa parola greca aveva nel suo contesto di origine.


L’ateismo nella Grecia antica

Quando si parla dell’ateismo nell’antica Grecia bisogna essere molto cauti. Essenzialmente perché il termine «ateismo» non designava la stessa realtà che designa oggi.

Prima di fare luce sulla questione, è doveroso spiegare il senso della parola: «ateismo» è composto da una a- privativa (che significa «senza») più la parola –teismo. Il termine «teismo» deriva dal greco theòs, «Dio», e designa la dottrina di coloro che affermano l’esistenza di Dio come essere personale. Per esempio, i cristiani sono teisti.

Nel nostro mondo moderno il termine «ateo» designa tre tipologie di individui che fra poco vedremo, ma sostanzialmente un «senza Dio» è colui che oggi nega l’esistenza di Dio per un motivo o per un altro. Nell’antico mondo greco-romano l’ateismo designava piuttosto gli avversari degli dèi e dei culti ufficiali; al contrario, per l’antico giudeo-cristianesimo, i «senza Dio» sono i pagani, cioè gli avversari di Yahweh (o il suo Messia, cioè Gesù) che non necessariamente rifiutano anche l’esistenza di altri dèi. Più precisamente, gli atei nel pensiero del salmista sono coloro che pur non rifiutando a priori l’esistenza di Yahweh, lo rigettano come proprio Dio (Sal 14,1; 53,1), mentre per gli autori della Torah ci sono politeisti che non sanno nemmeno che ci sia un Yahweh (Es 5,1-4).

I filosofi greci

Nel V secolo a.C., il filosofo Anassagora venne accusato di ateismo perché aveva dichiarato che il sole non è un dio. Dopo di lui, altri filosofi in numero non trascurabile, tra i quali Platone e Aristotele, vennero a loro volta accusati di ateismo. Semplicemente perché rifiutavano di riconoscere gli dèi delle religioni ufficiali, mentre d’altro canto essi affermavano, da filosofi, l’esistenza di Dio!

Altra fonte di confusione: alcuni filosofi, in particolare Democrito ed Epicuro — nonché il loro discepolo Lucrezio a Roma — pur affermandosi materialisti in senso stretto, non esitavano a riconoscere l’esistenza degli dèi. Degli dèi «ufficiali», certo. Forse perché risultava pericoloso insistere sul proprio ateismo nei loro confronti?

Fatte queste precisazioni, sembra comunque, come dice Claude Bruaire, che ci siano stati filosofi atei nel senso moderno del termine. Per esempio, Diagora di Melos e Teodoro di Cirene nel V e IV secolo a.C. sono certamente i più noti. Furono molto numerosi? Certamente no. Ma troppi documenti sono andati perduti perché si possa rispondere con precisione a questa domanda. Una sola certezza: a quel tempo ci furono atei convinti e decisi.


Dunque, il termine «ateismo» è ambiguo. Designa atteggiamenti molto diversificati, da un certo ateismo più o meno spontaneo fino all’ateismo cosciente e pensato. Senza dimenticare l’indifferenza, oggi tanto diffusa. Queste diverse forme, più o meno elaborate, spesso molto vicine, a volte si sovrappongono e si confondono. Non sempre è facile distinguerle in concreto.

Ebbene, senza entrare in troppi particolari possiamo tuttavia tentare di caratterizzarle brevemente, tenendo sempre presente che, nella realtà, le cose sono molto più complesse.

1. Lo scetticismo

Una prima forma di ateismo spontaneo è lo scetticismo: lo scettico non è in grado di sapere con certezza se Dio esiste o meno. Dunque, a che pro porsi il problema? Questo scetticismo, che può assumere forme molto più elaborate presso gli individui detti appunto «scettici», il più delle volte tende all’ateismo pratico. Pur ponendosi più o meno vagamente il problema di Dio, concretamente scelgono di vivere come se Dio non esistesse, pur avendo la possibilità di scegliere di vivere come se Dio esistesse visto che lo scettico non dovrebbe essere schierato da nessuna parte. Lo scetticismo, però, tendenzialmente allontana le persone da Dio piuttosto che avvicinarle a lui. Nella pratica si approda, quindi, all’ateismo. Questo è dovuto alla tendenza dell’uomo di scegliere il male (consapevolmente o meno) piuttosto che il bene.

2. Ribellione e rifiuto

Una seconda forma di ateismo è quella della ribellione e del rifiuto. Quali sono le ragioni?

  • Per alcuni, il problema del male:

Se Dio esistesse davvero, che è amore e ordine, farebbe cessare il male e le malattie nel mondo in un istante. Ma se Dio esiste e non fa nulla per risolverli, non merita le mie attenzioni.

  • Per altri, quello della libertà dell’uomo:

Voglio essere libero/a di fare ciò che mi pare, senza divieti e proibizioni etiche e morali; perché dovrei obbedire a leggi così antiquate e comandamenti così primitivi di un presunto essere superiore che i miei occhi non hanno mai visto? Inoltre, potrei arrivare agli stessi insegnamenti cosiddetti “rivelati” anche con la sola ragione.

  • Per altri ancora, tutti e due i motivi insieme. E ciò con tutte le sfumature e varianti possibili.

Angosciato dalla morte, profondamente colpito dal male e dalla sofferenza, l’uomo pretende l’idea di un Dio che debba necessariamente essere solo buono, amorevole e misericordioso, e che intervenga subito per impedire infelicità, guerre e malattie. Si ribella e rifiuta Dio a causa della sua mancanza di intervento per una soluzione immediata a questi casi. La sua ribellione e il suo rifiuto di Dio sono motivati da un’aspettativa non soddisfacente rispetto alle proprie idee che ha su Dio.

Spesso l’ateo ribelle, che respinge l’idea dell’esistenza di Dio, è comunque arrabbiato con lui. Da qui si nota l’evidente insostenibilità della sua rabbia. Ciò equivale a combattere contro un “fantasma”. A questo punto, se per il ribelle Dio non esiste e il problema non ha origine né può essere risolto da lui, a chi può attribuire la colpa del male? Che lo voglia o meno, la colpa la darà sempre a Dio (e ai credenti che credono in questo «Dio che non c’è»), poiché l’uomo non è disposto ad ammettere la responsabilità delle proprie azioni empie e malvagie e preferisce sempre assegnare la colpa a qualcun altro “più empio e immorale di lui”. E perché non a Dio, anche se per lui non esiste?

Tuttavia, ribellarsi e rifiutare Dio non significa necessariamente e tassativamente essere «senza Dio» nel senso di negare la sua esistenza, ma «senza Dio» nel senso di disconoscerlo come Dio pur non negando a priori l’esistenza di un “essere superiore”. È simile al modo in cui un figlio ribelle può decidere di disconoscere il proprio padre, preferendo restare «senza padre», cioè lontano da lui, nonostante quest’ultimo continui ad essere vivo e vegeto.

Un’altra fonte di ribellione e rifiuto è rappresentata dalle leggi divine del fare e non fare, le quali sembrano limitare la libertà dell’uomo, cosa che in fondo fanno anche le leggi umane. Quest’ultimo percepisce Dio come un ostacolo da eliminare per potersi sostituire a lui e farsi le proprie leggi. Questo tipo di «senza Dio» decide autonomamente, al posto di Dio, cosa sia giusto e cosa sia sbagliato per la propria vita e per come il mondo deve andare. Ciò che egli considera perfettamente morale e in linea con la natura potrebbe essere considerato immorale e contro natura da Dio, e viceversa. Un esempio classico in questo dibattito riguarda l’approccio nei confronti dell’omosessualità e delle immoralità sessuali secondo la Parola di Dio.

Questi rifiuti, il più delle volte intuitivi e spontanei, danno origine all’ateismo. Attraverso questi problemi angoscianti riguardanti il male, la sofferenza, la morte e la libertà umana si profilano le questioni cruciali della creazione della provvidenza divina. Il problema dell’ateismo moderno non è tanto quello di Dio in sé stesso, quanto quello dei suoi rapporti con il mondo e con l’uomo.

3. L’indifferenza religiosa

La terza forma di ateismo è senza dubbio la più diffusa: l’indifferenza religiosa. In questo caso, si manifesta un totale disinteresse per il problema, una sorta di vuoto religioso che si traduce in una insensibilità totale verso la questione di Dio.

In questa forma di ateismo può rientrare lo «agnosticismo» e le tendenze sono ancora una volta molto diverse. Ci sono coloro che si disinteressano perché mancano del tempo per dedicarsi a questa problematica, fino a chi, consapevolmente e deliberatamente, rifiuta di considerarla. Vi sono posizioni simili allo scetticismo appena definito e chi addirittura si pone al di là di questa problematica, respingendo definitivamente Dio e le religioni nell’oblio della storia.

Qui si raggiunge il «grado zero della religione», con Dio che scompare completamente dall’umano orizzonte. È innegabile, come osserva Claude Geffré, che oggi si assiste a un fenomeno massiccio di indifferenza religiosa, almeno nell’emisfero nord, in Europa e in nord America. Tuttavia, nonostante ciò, non si può ignorare il persistere della fede religiosa. La non-pertinenza del problema di Dio viene percepita come un fenomeno normale, e questo aspetto sorprende di più rispetto alla persistenza della fede religiosa.

L’ateo paradossale, quello ossessionato dell’idea Dio

Essite anche un quarto caso super partes di ateo, quello che si dimostra tutt’altro che indifferente, ma seriamente ossessionato dall’idea di Dio, e ciò è un paradosso interessante. Sebbene dichiari esteriormente di non credere in Dio, il fatto che dedichi così tanto tempo ed energia a discutere contro i credenti, criticare e negare la sua esistenza suggerisce una connessione più profonda di quanto ammetta consapevolmente.

I credenti, avendo già accettato la presenza divina nelle loro vite, potrebbero non sentire la necessità di focalizzarsi in modo così ossessivo su Dio, a meno che non siano estremisti e particolarmente “idolatri di Dio”. Al contrario, l’ateo può essere spinto da un desiderio inconscio di confrontarsi con ciò che nega. Parlare, turpiloquiare e sparlare di Dio in continuazione potrebbe essere, oltre che una forma di sindrome ossessiva complsiva, una forma di esorcismo personale, un modo di affrontare l’inesplicabile o l’ignoto che continua a sfuggirgli di mano nonostante la negazione cosciente.

Il paragone con una donna delusa che parla male del suo ex in continuazione, perché in fondo ci tiene ancora e lo ama, può essere un valido esempio. Così come l’odio può nascondere un amore non dichiarato e orgogliosamente non ammesso, l’ossessione dell’ateo può celare un desiderio non riconosciuto di comprendere o addirittura di avvicinarsi a Dio. L’ateismo può diventare un modo per manifestare l’orgoglio, mascherando un bisogno più profondo e nascosto di trovare un significato o una connessione spirituale.

Quindi, l’ateismo può essere visto non solo come un atto di negazione razionale, ma anche come un atto di fede nel nulla, come sottolineato dagli scienziati Antonino Zichichi (profondamente credente) e Margherita Hack (profondamente atea). L’orgoglio potrebbe essere il motore dietro la scelta di respingere la fede, nascondendo al contempo un desiderio inconfessato di trovare un significato più profondo nella propria esistenza.


Bibliografia

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