Pensieri paralleli nell’Ebraismo Rabbinico e il Nuovo Testamento

Giudaismo e Cristianesimo hanno concetti diversi sulla natura di Dio, sulla rivelazione, sulla salvezza e sul Messiah. Ma Yeshùa, la sua famiglia e la prima generazione di seguaci erano tutti Ebrei e non “cristiani”. Gli storici della religione sostengono che la successiva dottrina cristiana, così come la conosciamo oggi, non fu mai insegnata né da Yeshùa né dagli Apostoli, ma piuttosto fu sviluppa secoli dopo dai cosiddetti “Padri della Chiesa”.

L’opinione comune che si è radicata nel mondo cristiano nel corso dei secoli presume che gli insegnamenti di Yeshùa siano radicalmente diversi dal Giudaismo (o Ebraismo), ma un’affermazione simile non è proprio corretta, anzi totalmete errata. Questa credenza deriva dal paragonare le parole di Yeshùa al Tanakh (Bibbia ebraica, Antico Testamento). Ma il Giudaismo non si basa su una lettura letterale della Bibbia – piuttosto, comprende la Bibbia attraverso una legge orale – Torah she’be’al peh תורה שבעל פה. Questi insegnamenti si trovano nella Mishnah, מִשְׁנָה, nel Midrash מדרש, nel Talmud Yerushalmi (תַּלְמוּד יְרוּשָׁלְמִי) e nel Talmud Bavlì (תַּלְמוּד בבל).

Quando guardiamo questa legge orale, scopriamo che molte delle parole pronunciate originariamente da Yeshùa erano già insegnate nell’Ebraismo, e cioè prima ancora che l’Apostolo Paolo le adattasse alle sue parole per “fondare” il Cristianesimo (vedi articolo correlato Gesù di Nazareth è stato realmente il fondatore del Cristianesimo?).

Yeshùa viene generalmente presentato come un ferreo oppositore dei Farisei, il più grande collegio rabbinico esistente al tempo del Secondo Tempio. Eppure, gli insegnamenti di Yeshùa vanno in un’agghiacciante sintonia con l’insegnamento dei Farisei – in opposizione invece agli altri gruppi ebraici dell’epoca noti come Sadducei ed Esseni.

Dopo la distruzione del Secondo Tempio avvenuta nella nota data del 70 d.C., le credenze Farisaiche divennero la base dell’Ebraismo (o Giudaismo) rabbinico. Possiamo trovare, perciò, paralleli incredibli tra gli insegnamenti di Yeshùa e quelli dell’Ebraismo rabbinico e in questa sede se ne elencheranno solo una piccola raccolta.

Il Nuovo Testamento è un insieme di vari libri finalizzati entro il 69-95 d.C. I libri del Giudaismo rabbinico sono noti come “La Legge orale” e includono materiale risalente ad alcuni secoli prima della nascita di Yeshùa: questo corpus di libri (che al tempo di Yeshùa non esistevano ma era tutto insegnato oralmente) comprende la redazione della Mishnah (200 d.C.), le varie raccolte del Midrash (dal 100 al 600 d.C.) e i due Talmud (circa 550 d.C.).

Passi paralleli

«Rabbi Jonathan ben Yoséf disse: “Esso (lo Shabbat) è impegnato nelle tue mani, non tu nelle sue mani”» (Yoma 85b). Yeshùa, che conosceva bene questo principio rabbinico insegnato oralmente al suo tempo, così lo pronunciò: «Poi disse loro: “Lo Shabbat è stato fatto per l’uomo e non l’uomo per lo Shabbat”» (Mc 2:27).

«Colui che tradisce il suo simile, è come se avesse tradito Dio» (Tosefta Shavuot, 3). Yeshùa parafrasò questo insegnamento rabbinico in questo modo: «In verità vi dico che in quanto non l’avete fatto a uno di questi minimi, non l’avete fatto neppure a me» (Mt 25:45).

«Colui che svergogna pubblicamente il suo prossimo è come se versasse del sangue» (Bava Mezia 58b). Questo precetto rabbinico è approvato da Yeshùa. Ed ecco cosa disse a riguardo: «Voi avete udito che fu detto dagli antichi [che Mosè avrebbe insegnato che]: Non uccidere: chiunque avrà ucciso sarà sottoposto al tribunale“; ma io vi dico [che Mosè ha insegnato tutt’altro, infatti]: chiunque si adira contro suo fratello sarà sottoposto al tribunale; e chi avrà detto a suo fratello: ‘Raca’ sarà sottoposto al sinedrio; e chi gli avrà detto: ‘Pazzo!’ sarà condannato alla geenna del fuoco» (Mt 5:21-22). In questo brano biblico, Yeshùa non sta denunciando la tradizione orale degli «antichi» Farisei, (anzi la approva), ma quella degli Esseni. Questo monito non è rivolto verso i Farisei, perché nella tradizione orale farisaica non vi sono le parole che Yeshùa attribuisce a questi «antichi». Piuttosto, nei manoscritti  rinvenuti a Qumran sono riscontrabili insegnamenti che proprio Yeshùa denunciò durante il suo famoso sermone. Quindi Yeshùa ce l’ha proprio con gli Esseni di Qumran. Insultare il proprio fratello in privato, in assenza di testimoni, non era punibile visto che non c’erano testimoni che potevano gettare il capo d’accusa, ma con dei testimoni presenti allora insultare il proprio fratello consisteva nell’insultarlo «pubblicamente». Tuttavia, la terminologia «raca» e «pazzo» riassumono un insieme di imprecazioni verso qualcuno che non andavano fatte in pubblico (ed eticamente neanche in privato).

«Uno che guarda con desiderio [sessuale] anche il solo mignolo di una donna sposata, è come se avesse commesso adulterio con lei» (Mishnah Challah 1). Nell’immediato contesto del brano biblico analizzato sopra, Yeshùa ribadì il medesimo concetto al suo uditorio, ma con più autorità e determinazione rispetto agli Scribi (cfr. Mc 1:22; Mt 7:9), dicendo: «Ma io vi dico [cioè Mosè ha realmente insegnato] che chiunque guarda una donna per desiderarla, ha già commesso adulterio con lei nel suo cuore» (Mt 5:28). La tradizione rabbinica definisce un uomo che nutre dei desideri sessuali verso una donna sposata «come se fosse» adultero nei suoi confronti. Yeshùa, invece, è più diretto: guardare una donna sposata ed immaginare fantasie sessuali nei confronti di lei «ha già commesso adulterio con lei nel suo cuore [cioè «nella mente di chi desidera», secondo il gergo occidentale]».

«Rabbi Abbahu disse: ‘Il giorno di pioggia è più grande della resurrezione dei morti. La ragione è che mentre la resurrezione dei morti avvantaggia solo i giusti, la pioggia reca benefici sia ai giusti che ai malvagi» (Taanit 7a). Ecco come ribadì il concetto Yeshùa sempre nel suo famoso sermone: «[…] affinché siate figli del Padre vostro che è nei cieli; poiché Egli fa levare il Suo sole sopra i malvagi e sopra i buoni, e fa piovere sui giusti e sugli ingiusti» (Mt 5:45). Yeshùa non stava insegnando nulla di “nuovo” al suo uditorio, ma rifecendosi alla dottrina farisaica già conosciuta dagli Ebrei del suo tempo, egli la insegnò con maggiore auorità.

«Nel caso della recitazione dello Shema Yisrael [preghiera], poiché tutti gli altri recitano, e anche lui recita, non sembra che mostri [ipocrisia] da parte sua; ma nel caso del mese di Av, dato che tutti gli altri lavorano, mentre lui non lavora, sembra [invece] che si stia [proprio] esibendo» (Berachot 17b). Yeshùa, ancora una volta, ribadisce un concetto già insegnato dai Farisei: «Guardatevi dal praticare la vostra giustizia davanti agli uomini, per essere osservati da loro; altrimenti non ne avrete premio presso il Padre vostro che è nei cieli […] Quando pregate, non siate come gli ipocriti; poiché essi amano pregare stando in piedi nelle sinagoghe e agli angoli delle piazze per essere visti dagli uomini. Io vi dico in verità che questo è il premio che ne hanno» (Mt 6:1,5). Tuttavia, com’è possibile che i Farisei da un lato insegnassero cose così giuste e allo stesso tempo venivano denunciati aspramente proprio dal quel Yeshùa che si serviva dei loro insegnamenti? Yeshùa era forse uno “sfruttarore” di saggezza giudaica? No. Yeshùa incoraggiava il suo uditorio a «fare e osservare tutte le cose che [Scribi e Farisei] dicono» e che invece bisognava astenersi dal fare «secondo le loro opere, perché dicono e non fanno» (Mt 23:3). Quindi Yeshùa disse in termini semplici: «le cose che insegnano sono giuste, perciò osservate quello che dicono. L’importante è che non prendiate esempio dalle loro opere, perché non rispecchiano per nulla quello che insegnano, infatti dicono e non fanno».

«Quale tipo di carità è ciò che libera da una morte innaturale? […] È il tipo in cui si dà la carità senza sapere a chi la si ha data, e l’altro la prende senza sapere da chi l’ha presa» (Bava Batra 10a-10b). Yeshùa ribadisce questo concetto rabbinico, chiamato Gmilut Chasadìm (cioè fare benevolenza nel segreto soprattutto a chi non merita nulla), con queste parole: «Ma quando tu fai l’elemosina, non sappia la tua sinistra quel che fa la destra» (Mt 6:3). Leggendo il Bava Batra, all’insegnamento di Yeshùa viene restituita tutta la sua ebraicità rabbinica originale. Il che è meraviglioso! L’espressione «non sappia la tua sinistra quel che fa la tua destra» è equiparabile al nostro modo di dire occidentale: «non far sapere nulla di ciò che hai fatto né a destra né a manca». Inoltre, non solo gli atti di Gmilut Chasadìm non devono assolutamente essere preceduti o accompagnati da squilli di trombe atti a procacciare gli applsausi e l’approvazione della gente [hevel kavod, «vana gloria»], ma sarebbe addirittura meglio (per una serie di motivazioni) che chi riceve non sappia chi sia il donatore, né chi dona sappia chi sia il ricevente (in caso di dono materiale in cui si preferiva mantenere il totale anonimato, il donatore delegava una persona fidata che facesse pervenire la donazione secondo il bisogno della comunità. Al donatore non doveva interessare a chi era destinata la sua donazione, l’importante era destinarla ai bisognosi, seppur essi potevano essere anche immeritevoli di ricevere del bene).

«Chiunque prolunghi la sua preghiera e si aspetti che gli venga data una risposta, alla fine arriverà al dolore, come si legge: “La speranza insoddisfatta fa languire il cuore” (Proverbi 13:12)» (Berachot 55a). Ancora una volta, Yeshùa non dice nulla di nuovo per il suo uditorio, ma ribadisce determinati concetti (già conosciuti e popolarmente accetatti) con più chiarezza: «Nel pregare non usate troppe parole come fanno i pagani, i quali pensano di essere esauditi per il gran numero delle loro parole» (Mt 6:7). Questo insegnamento è più che mai attuale, poiché non manca al giorno d’oggi chi si dilunga in preghiere e intercessioni di un’ora, preghiere eseguite da una persona soltanto dove il seguito dei fedeli usa dire “amen”, proprio come facevano nel loro modo di esprimersi i apgani nell’antichità.

«Rabbi Eliezer il Grande dice che chiunque ha il pane nel suo cestino per mangiare oggi e dice: “Che cosa mangerò domani?”, nel senso che non sa come acquisirà il pane per domani, appartiene solo a coloro che hanno poca fede» (Sotah 48b). Yeshùa ribadisce il concetto rabbinico colorandolo o “rinforzandolo” di esempi comuni con il semplice fine di far giungere l’insegnamento dritto ai cuori di chi lo stava ascoltando: «Perciò vi dico: non siate in ansia per la vostra vita, di che cosa mangerete o di che cosa berrete; né per il vostro corpo, di che vi vestirete. Non è la vita più del nutrimento, e il corpo più del vestito? Guardate gli uccelli del cielo: non seminano, non mietono, non raccolgono in granai, e il Padre vostro celeste li nutre. Non valete voi molto più di loro? E chi di voi può con la sua preoccupazione aggiungere un’ora sola alla durata della sua vita? E perché siete così ansiosi per il vestire? Osservate come crescono i gigli della campagna: essi non faticano e non filano; eppure io vi dico che neanche Salomone, con tutta la sua gloria, fu vestito come uno di loro. Ora se Dio veste in questa maniera l’erba dei campi che oggi è, e domani è gettata nel forno, non farà molto di più per voi, o gente di poca fede? Non siate dunque in ansia, dicendo: “Che mangeremo? Che berremo? Di che ci vestiremo?”» (Mt 6:25-31).

«La Ghemara offre una parabola riguardo a uno che è stato incarcerato e che la gente gli avrebbe detto: “Ti romettiamo che domani ti libereremo e ti daremo anche molti soldi!” […] Ogni giorno ha abbastanza dei suoi problemi» (Berachot 9b). Yeshùa disse a riguardo: «Non siate dunque in ansia per il domani, perché il domani si preoccuperà di se stesso. Basta a ciascun giorno il suo affanno» (Mt 6:34).

«Un sì giusto è Sì; un giusto no è No» (Bava Batra 49b); «Lascia che il tuo sì sia sì e che il tuo no sia no» (Baba Metzia 49a). Yeshùa spiega lo stesso principio introducendolo con una eloquente spiegazione: «Ma io vi dico: non giurate affatto né per il cielo, perché è il trono di Dio; né per la terra, perché è lo sgabello dei suoi piedi; né per Gerusalemme, perché è la città del gran Re. Non giurare neppure per il tuo capo, poiché tu non puoi far diventare un solo capello bianco o nero. Ma il vostro parlare sia: ‘Sì, sì; no, no’; poiché il di più viene dal maligno [cioè dal attivo pensiero]» (Mt 5:34-37).

«Rabbi Yochanan disse: “Dal giorno in cui il Tempio fu distrutto, la profezia fu tolta ai profeti e data agli imbecilli ed ai bambini» (Bava Batra 12b). Yeshùa, prendendo atto del detto rabbinico di cui sopra (che si riferisce alla prima distruzione del Tempio), disse: «In quel tempo Gesù prese a dire: “Io ti rendo lode, o Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai nascosto queste cose ai sapienti e agli intelligenti, e le hai rivelate ai piccoli”» (Mt 11:25). Molto spesso, nella cristianità odierna, questa frase di Yeshùa viene usata per legittimare la propria ignoranza e denigrare chi invece è dotato di conoscenza, intelligenza e e perspicacia. C’è da dire, comunque, che la citazione di Yeshùa assume un senso più chiaro alla luce del Bava Batra, e quest’ultimo assume un senso più chiaro alla luce dell’affermazione di Yeshùa. Entrambi si chiariscono a vicenda. Ciò significa, prendendo atto del vero senso ebraico dell’affermazione di Yeshùa, che chi si annovera con tanto orgoglio tra i «piccoli» menzionati da lui, in realtà può anche far parte della categoria degli «imbecilli». L’associazione dei pazzi con i bambini consiste nel fatto che sia i bambini che i pazzi tendono sempre a dire la verità, nel bene e nel male. Questo è il senso della profezia: l’annuncio di verità incontestabili apprezzabili per qualcuno e detestabili allo stesso tempo per qualcun altro.

«[…] Rabbi Zeira […] quando avrebbe trovato dei Saggi impegnati in discussioni sulla venuta del Messiah, avrebbe detto loro: “Per favore, vi chiedo, non ritardate la sua venuta calcolando la fine di giorni. Infatti abbiamo appreso che ci sono tre questioni che arrivano di sorpresa: il Messiah, un oggetto smarrito e uno scorpione» (Sanhedrin 97a). Parimenti Yeshùa ribadisce il concetto rabbinico secondo la quale non è possibile calcolare il tempo né il giorno della venuta del Messiah, riferendosi a sé stesso: «Perciò, anche voi siate pronti; perché, nell’ora che non pensate, il Figlio dell’uomo verrà» (Mt 24:44).  Nella cristianità odierna, specialmente quella Protestante, dove in certi ambiti si rivendica l’assoluta osservanza alle Scritture, si afferma è possibile stimare «l’anno» del ritorno del Messiah, dato che la Bibbia si limiterebbe a dire soltanto «quanto a quel giorno e a quell’ora», non tenendo conto «dell’anno». L’espressione biblica «quanto a quel giorno e a quell’ora» indica un tempo completo che include un’era, una epoca costituita da “anno, mese, giorno, ora e minuto”. Quindi è un eufemismo “sintetico” che non va preso alla lettera, ma va considerato nel suo più ampio senso, e cioè: «quanto e quel preciso istante di una epoca a noi tutti sconosciuta, tranne che al Padre». Perciò, dal punto di vista biblico, è importante non credere a chi “dà i numeri” pronosticando «l’anno della venuta del Signore». Nessuno lo sa! La Scrittura dice in modo indiretto che è un bugiardo chi sostiene di saperlo.

«Coloro che vengono scherniti e non scherniscono a loro volta; che vengono rimproverati ma non rispondono; che servono per amore e si rallegrano della loro afflizione – di loro è scritto nella Scrittura: Coloro che amano Dio sono come l’uscita del sole nella sua forza» (Yoma 23a; Ghittin 36b; Shabbat 88b). Yeshùa ribadì un concetto che nella letteratura rabbinica è presente in diverse parti: «Voi avete udito che fu detto: “Ama il tuo prossimo e odia il tuo nemico”. Ma io vi dico: amate i vostri nemici e pregate per quelli che vi perseguitano, affinché siate figli del Padre vostro che è nei cieli; poiché egli fa levare il suo sole sopra i malvagi e sopra i buoni, e fa piovere sui giusti e sugli ingiusti» (Mt 5:43-45). Ancora una volta Yeshùa si mostra favorevole agli insegnamenti di Scribi e Farisei, mostrandosi piuttosto contrarario sull’insegnamento degli Esseni che imponevano agli aderenti alla loro comunità di odiare i nemici (da loro definiti “figli delle tenebre”). La tradizione orale denunciata da Yeshùa perciò non riguarda Scribi e Farisei, con cui va d’accordo in questo pensiero, ma proprio gli Esseni di Qumràn. La tradizione rabbinica né l’Antico Testamento incoraggiano ad odiare i nemici, piuttosto il contrario, di amarli e pregare per loro.

«Solo se perdoni agli altri, Dio ti perdonerà» (Rosh HaShanah 17a); «Chi è misericordioso verso gli altri, Dio sarà misericordioso nei suoi confronti» (Shabbat 151b). Yeshùa insegnò le stesse cose, perciò non è necessario aggiungere commenti: «Perché se voi perdonate agli uomini le loro colpe, il Padre vostro celeste perdonerà anche a voi; ma se voi non perdonate agli uomini, neppure il Padre vostro perdonerà le vostre colpe» (Mt 6:14-15); «Beati i misericordiosi, perché a loro misericordia sarà fatta» (Mt 5:7).

«Avvenne che Manobaz sperperò la ricchezza di suo padre in beneficenza. I suoi fratelli lo ammonirono: “Tuo padre ha raccolto un tesoro e tu lo hai sprecato tutto!” Rispose: “Mio padre ha deposto un tesoro dove le mani umane lo controllano; [io, invece] l’ho deposto dove nessuna mano lo controlla. Mio padre ha deposto un tesoro di denaro; Io ho deposto un tesoro di anime. Mio padre ha preparato un tesoro per questo mondo; Io ho preparato un tesoro per il mondo celeste”» (Talmud di Gerusalemme, Peah 15b). Yeshùa doveva conoscere molto bene questo insegnamento, tant’è che disse: «Non fatevi tesori sulla terra, dove la tignola e la ruggine consumano, e dove i ladri scassinano e rubano» (Mt 6:19). Fino ad ora, Yeshùa non sembra condannare affatto l’insegnamento di Scribi e Farisei, anzi si lascia ispirare proprio da loro per trarne i suoi sermoni.

«Non giudicare il tuo compagno fino a che pure tu non ti troverai al suo posto» (Pirqei Avot 2:4); «Non giudicare da solo, perché da solo non giudica altro che l’Uno (Dio)» (Pirqei Avot 4:8). Il Pirqei Avot 2:4 non vieta il giudizio in modo assolutistico, ma intende dire che non siamo tenuti a giudicare nessuno fino a quando noi in primis non ci troviamo nella medesima condizione di chi vorremmo giudicare. La tradizione rabbinica inoltre afferma: «Con la misura con la quale una persona misura, gli sarà misurato» (Sotah 8b); «Così come tu giudichi gli altri [favorevolmente o sfavorevolmente], Dio giudica te [favorevolmente o sfavorevolmente]» (Shabbat 127b); «Rabbi Meir disse: Si riceve una misura commisurata alla misura che si ha raccolta» (Sanhedrin 100a). E in questo senso Yeshùa citò il detto rabbinico, non intendendo l’assoluta negazione del giudizio, ma di giudicare solo quando si è nella posizione e condizione di poterlo fare: «Non giudicate, affinché non siate giudicati; perché con il giudizio con il quale giudicate, sarete giudicati; e con la misura con la quale misurate, sarà misurato a voi» (Mt 7:1-3). Il giudizio non viene negato affatto ai santi, altrimenti la Scrittura cadrebbe in contraddizione. Yeshùa ha perciò insegnato: «Non giudicate secondo l’apparenza, ma giudicate secondo giustizia» (Gv 7:24), dove viene permesso di giudicare solo dopo essersi accertati e ben documentati della cosa da giudicare. All’apparenza chiunque può essere giudicabile, ma l’apparenza può ingannare ed è bene stare avveduti in termini di giudizio, perché rischiamo di ricevere in cambio la stessa misura di giudizio che scaraventiamo ad altri in modo ingiusto.

«Rabbi Tarfon disse: “Mi chiedo se ci sarà qualcuno in quest’epoca che si lascerà riprendere. Se qualcuno dice a un altro: ‘Scaccia la pagliuzza che è nei tuoi occhi!’, risponderà, ‘Scaglia prima la trave che è nel tuo occhio!'”» (Arachin 16b); «A chi dice: “Togli la scheggia dai tuoi occhi” si risponderà: “Rimuovi [prima] la trave dal tuo occhio!”» (di Rabbi Yochanan, detto Bar Napha, 199-279 d.C., Baba Batra 15b). Ebbene, anche Yeshùa insegnò la stessa ed identica cosa: «Perché guardi la pagliuzza che è nell’occhio di tuo fratello, mentre non scorgi la trave che è nell’occhio tuo?» (Mt 7:3).

«Rabbi Tarfon disse: il giorno è breve e il lavoro è molto, e gli operai sono pigri e la ricompensa è grande, e il padrone di casa sta facendo pressioni» (120 d.C., Mishnah Pirqei Avot 2:15) A tal proposito, Yeshùa disse ai suoi discepoli: «La mèsse è grande, ma pochi sono gli operai» (Mt 9:37). La Mishnah e la citazione di Yeshùa si completano a vicenda.

«Chiunque si umilia sulle questioni della Torah in questo mondo diventa grande nel Mondo a Venire; e chiunque si stabilisca come un servitore sulle questioni della Torah in questo mondo diventerà libero nel Mondo a Venire» (di Rabbi Jeremiah, morto nel 250 d.C., Baba Metzia 85b). E a tal proposito Yeshùa insegnò che: «Chiunque si innalzerà sarà abbassato e chiunque si abbasserà sarà innalzato» (Mt 23:12).

«Yom Kippur espia tutti i peccati, ma prima bisogna che riconcili il tuo conflitto con gli altri» (Yoma 85b). Yeshùa, rivolgendosi al suo uditorio ebreo osservante, insegnò la stessa cosa: «Se dunque tu stai per offrire la tua offerta sull’altare [nel giorno di Yom Kippur] e lì ti ricordi che tuo fratello ha qualcosa contro di te, lascia lì la tua offerta davanti all’altare, e va’ prima a riconciliarti con tuo fratello; poi vieni a offrire la tua offerta» (Mt 5:23-24). Contrariamente a chi pensa che Yeshùa era aspramente contrario al servizio sacro presso il Tempio, qui egli dimostra invece di essere un osservatore di questi rituali davanti all’altare, altrimenti non avrebbe mai insegnato ai suoi discepoli qualcosa che secondo lui non dava più fatta. Yeshùa non era ancora morto né risorto, per cui ogni “formalismo” era pienamente valido.

Come possiamo vedere dai pochi esempi riportati sopra, Yeshùa si è dimostrato un vero Rabbino di impronta farisaica.[1] Egli cercava di aprire gli occhi a quelli che nella Giudea erano o seguaci della più rigida scuola di Rabbi Shammai, oppure che seguivano il culto dei sacerdoti. I sacerdoti al tempo di Yeshùa erano corrotti (non della stirpe di Aronne né di quella di Kohan), ma erano asini e burattini nelle mani dei Romani. I Rabbini talmudici non avevano una grande stima dei sacerdoti, infatti dicevano: «se incontri un sacerdote e lo vedi comportarsi in modo arrogante, puoi essere sicuro del suo lignaggio». Il Talmud afferma che la Santa Presenza di Dio non risiedeva affatto nel secondo Tempio, e in effetti anche Yeshùa insegnò lo stesso.

Yeshùa predicò ai Giudei e agli Ebrei talmudici l’Ebraismo spirituale e nei casi in cui la legge talmudica veniva scavalcata da una legge talmudica inventata «che annullava la parola Parola di Dio», era determinato a denunciarla apertamente parlandone con tutti coloro che volevano ascoltarlo e che non volevano lasciarsi persuadere dai falsi ministri. Purtroppo, nel Nuovo Testamento le parole Giudeo ed Ebreo vengono scambiate e confuse, il che fa sembrare come se gli Ebrei Talmudici fossero ancora impantanati nel culto sacerdotale del Tempio di cui Yeshùa e i Rabbini sinceri erano contrari.

Spero che questo articolo possa aiutare il lettore a capire meglio il contesto in cui Yeshùa si trovava e che non è affatto vero che Yeshùa ha annullato la legge, anzi, ha dimostrato di esserne un grande osservatore alla luce degli insegnamenti rabbinici farisaici che lui stesso proponeva ai suoi discepoli e a tutti coloro che lo ascoltavano. Sarebbe perciò cosa buona rivalutare questo aspetto di Yeshùa, che viene generalmente ritratto come un grande persecutore dei Farisei. Testo e contesto aiutano a capire ai più la verità sul falso che viene insegnato oggi in tal senso.

Nota

[1] Yeshùa era un Rabbi itinerante perché non aveva una scuola fissa come Scribi, Farisei e Sadducei, ma si spostava di luogo in luogo per portare il suo insegnamento genuino della Parola di Dio rivelata dal Padre e che risiedeva in lui, a tutte «le pecore perdute d’Israele». Tuttavia, nonostante la sua visione fosse prettamente farisaica, egli mai studiò la Scrittura, la conosceva già in maniera innata. Quindi la domanda che può sorgere spontanea è: Yeshùa non ha forse studiato anche lui nella scuola rabbinica come ogni bambino ebreo del suo tempo? La risposta è «no». I Rabbini venivano chiamati così perché avevano studiato a scuola ed erano conoscitori della Scrittura (Antico Testamento), per cui era quasi un’offesa definire Rabbi una persona che la Scrittura non l’avesse mai studiata con i rabbini ufficiali. Ora, a sostegno della mia risposta, si legga Gv 7:15: «Perciò i Giudei si meravigliavano e dicevano: “Come mai conosce [Yeshùa] così bene le Scritture senza aver fatto studi?» Proprio così, Yeshùa non ha mai studiato le Scritture e questo è confermato dalla stessa bocca dei Giudei, il che non era una loro convinzione personale, ma era davvero così visto che vi era consenso popolare. Si meravigliavano perché era ritenuto impossibile per un uomo comune, figlio di un falegname, «conoscere così bene» le Scritture senza aver fatto studi sistematici a scuola. Chi non studiava con i rabbini ma sentiva di rado qualche lezione e la insegnava, non poteva «conoscere bene» le Scritture così come chi invece andava a scuola; ma Yeshùa fu quell’unica eccezione alla regola che destò lo stupore dei Giudei stessi. Solo colui che era dotato di una “sapienza divina” (logos) così elevata poteva avere una tale conoscenza “innata” per così dire, quindi i Giudei hanno indirettamente affermato che in Yeshùa risiede proprio quel Logos divino rivendicato da Giovanni (1:1), caratteristica appartenente solo ed esclusivamente al Messiah che gli Ebrei attendono ancora. Questa è una prova della cecità umana: ha il Messiah sotto al naso e non se ne accorge. Tuttavia, un conto è conoscere la Scrittura, un altro conto è conoscere la tradizione orale. Per cui, il modo di insegnare le Scritture nessuno glielo aveva insegnato, mentre quanto alla tradizione rabbinica ne era un fervido cultore perché necessariamente dovette frequentare la scuola rabbinica per apprenderla.

4 Risposte a “Pensieri paralleli nell’Ebraismo Rabbinico e il Nuovo Testamento”

  1. Gentilissimo Daniele, grazie!
    Grazie per questa tua risposta: confesso che ho in borsetta la lettera scritta per il Papa, pronta per essere spedita. Per Grazia stamattina non ho trovato una tabaccheria per acquistare un francobollo e, anche se so che al Papa si può inviare senza affrancare, qualcosa dentro mi ha detto di aspettare: era la tua risposta! Grazie, le tue parole e la tua saggezza hanno dato pace al mio quesito … Gesù, Yeshua, sono la stessa Persona. Dio ti benedica e ti doni sempre la Sua Luce per portarla a noi.
    Un caro saluto

    Paola

  2. Getilissimo Daniele Salomone,
    tre anni fa cercando il vero nome di Gesù, ho incontrato il tuo scritto al riguardo: copiato e incollato l’ho salvato in una email che ieri mi è ritornata davanti, grazie alla parola “fichi” a cui facevi riferimento per quanto riguardava il fruttificare di un albero.
    Ma oggi sono qui per condividere la tua affermazione: il nome di Yeshua è il vero nome del Figlio di Dio, nato a Nazareth… sai, mi sono sempre chiesta perché avessero cambiato (o tradotto) un nome che, come insegnano, è il più grande sulla Terra, davanti al quale ogni ginocchio si pieghi oltre ad avere un potere senza misure. Mi chiedo perché ci hanno insegnato a chiamare Yeshua con il nome di Gesù?…
    So, che che uno di questi giorni scriverò al Papa Francesco per chiedere a Lui, di ripristinare il nome autentico. Onestamente, mi chiamo Paola e non ho mai voluto traduzione del mio nome.
    Caro Daniele, grazie per la tua ricerca e per averla condivisa pubblicandola: è un raggio di Luce. Grazie per l’attenzione
    un caro saluto
    Paola Zugna

    1. Carissima Paola,

      Grazie per avermi scritto. Vorrei affrontare il tema dei nomi con te, tenendo presente che nessuno possiede un nome esclusivamente unico. Per esempio, così come esistono numerosi Daniele, ci sono molte Paola. A seconda della nazionalità, un nome può subire lievi modifiche. In Italia abbiamo Pietro, mentre in Gran Bretagna lo stesso nome diventa Peter e in Spagna diventa Pedro, e così via. Il nome rimane lo stesso, ma la sua fonetica varia in base alla lingua di appartenenza.
      La resa di Yeshua in Gesù segue lo stesso principio. In Italia lo chiamiamo Gesù, mentre nei paesi anglofoni diventa Jesus, e così via. È importante anche sapere che, al tempo di “Gesù”, il nome Yeshua era estremamente diffuso. Yeshua era una forma abbreviata di Yehoshua (Giosuè) ed era un nome molto comune. Questo nome lo troviamo persino nel libro di Esdra al capitolo 2.

      Tuttavia, se consideriamo “il nome stesso” Yeshua come il più importante sulla Terra, allora come mai era così diffuso se doveva averlo solo lui? Dobbiamo concentrarci non sul “nome di battesimo” in sé, ma sul suo significato profetico. Inoltre, nell’antichità, il concetto di “nome” aveva un valore diverso rispetto a oggi: la parola “nome” in ebraico (shem) poteva significare anche “fama”, “reputazione” o “monumento”. Quindi, anche se il “nome” (shem) Yeshua era diffuso, il suo significato si concretizzava solo nella persona di Yeshua stesso, poiché egli era veramente “Yahweh Salva”. “Yahweh Salva” è il significato del nome Yeshua, ed è a questo significato che dobbiamo porre attenzione e dare enfasi, non al nome in sé altrimenti rischiamo di cadere nel laccio del “culto del nome”.

      Inoltre, se oggi non traduciamo i nomi biblici nella nostra lingua madre, perché i redattori del Nuovo Testamento non lo hanno fatto nemmeno? Il Nuovo Testamento utilizza IESOU, che corrisponde a Giosuè (Yehoshua) più che a Yeshua. Non si tratta di una traslitterazione del nome ebraico Yehoshua in caratteri greci, ma piuttosto di una scrittura fonetica basata sulla lingua greca anziché su quella ebraica. Il principio di 2000 anni fa in medioriente è applicato ancora oggi in occidente.

      Tuttavia, non so quanto possa essere utile scrivere al pontefice per suggerire il ripristino del nome originale Yeshua. Se dovesse farlo per Yeshua, allora sarebbe giusto farlo anche per tutti gli altri nomi della Bibbia. Personalmente, nelle mie traduzioni, io stesso traslittero tutti i nomi secondo il testo originale, perché apprezzo l’originalità dei nomi antichi che avevano un valore e un’importanza completamente diversi da quelli che attribuiamo loro oggi.

      Cordiali saluti,
      Daniele

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