«Ur del Caldei», una clausola che Moshéh potrebbe non aver mai scritto.

Questo breve articolo è tratto dal mio Commento alla Genesi con traduzione interlineare (Toràh Project) che conto di pubblicare entro il primo paio di mesi dell’anno nuovo. L’analisi proposta riguarda il nome della città biblica «Ur dei Caldei». Questo nome l’autore della Genesi potrebbe non averlo scritto di suo pugno perché potrebbe trattarsi di un’interpolazione o di un anacronismo.

Esposizione

Le indagini dell’archeologo britannico Sir Charles Leonard Woolley del 1922-1934, hanno rivelato prove di una cultura urbana altamente sviluppata ai tempi di Avrahàm nostro padre, e cioè intorno al 2000 a.C. Il termine «caldei» risale probabilmente al periodo che va dal 1000 al 500 a.C. ed è stato – con molta probabilità – aggiunto solo dopo dai successivi copisti per distinguere la Ur biblica da altre città di nome simile nella Mesopotamia settentrionale. 1

«Caldei» si riferisce al popolo «Kaldu» che si stabilì nella Babilonia meridionale dal 1200 a.C.. 2 Ciò significa che la clausola «Ur del Caldei» che si trova in Bereshìt, dev’essere stata un’interpolazione (quindi un anacronismo) da parte di un copista «esperto» del calibro del biblico Esdra, perciò potrebbe essere assai probabile che la dicitura «Caldei», nel testo originale redatto dall’autore originale di Bereshìt, poteva anche non esserci. 3

Per ragioni storiche e archeologiche, Moshéh Rabbénu non può aver scritto «Caldei» al suo tempo, perché i «Caldei» al suo tempo non c’erano. Ma ciò non toglie che per ragioni profetiche il nome «Ur dei Caldei» gli sia stato profeticamente rivelato! Infatti, è stato ampiamente riconosciuto che gli argomenti per la composizione tardiva della Toràh (cioè non al tempo di Moshéh Rabbénu bensì molto tempo dopo di lui) da una varietà di fonti, sono molto fragili e lungi dall’essere “prove di ferro”. Questo non significa negare che il séfer Bereshìt contenga elementi post-Mosaici 4 o che l’ebraico biblico di Bereshìt sia stato un po’ modernizzato da santi uomini di Dio, ma questo è normale in un testo sacro conservato per l’istruzione (2Tim 3:16-17) delle generazioni successive!

Alla luce della comprensione del testo e del messaggio ultimo di Bereshìt, la rivisitazione dei nomi dei luoghi e del linguaggio arcaico adoperata dai copisti successivi, non mina assolutamente l’ispirazione divina delle Scritture, in quanto, per certi versi, anche i copisti potrebbero aver ricevuto una speciale unzione ispiratrice super partes per mantenere di per sé inalterato il contenuto primario della Scrittura, chiarendo piuttosto quello che la generazione contemporanea al copista “ispirato” avrebbe potuto non comprendere con facilità. Ciò significa che i copisti come i Masoreti non fanno parte della linea di copisti “divinamente ispirati” come Esdra, ma lo sono stati quelli precedenti (o precedente se si parla dei testi raccolti da Esdra) dai cui manoscritti gli stessi Masoreti avrebbero potuto attingere le loro informazioni e conoscenze. I Masoreti non hanno mai aggiunto né tolto nulla dal testo che la tradizione aveva fino al loro tempo tramandato, limitandosi se mai ad aggiungere delle annotazioni e commenti ai margini (masora magna e masora parva) nei loro manoscritti pur mantenendo intatto il “testo originale” a loro pervenuto o che ricordavano a memoria.

A proposito di “memoria”, altro aspetto importante da puntualizzare è che uno «scriba esperto» generalmente è uno tecnico maestro dell’arte della scrittura che deve conoscere a memoria, lettera per lettera, il libro biblico che intende ricopiare, ma per evitare errori, nonostante il testo lo conosca letteralmente a memoria, è indispensabile che lo ricopi da una matrice riconosciuta autentica e perfetta nel suo contenuto. Per evitare omissioni o dimenticanze testuali, gli esperti ebrei hanno adottato delle misure di sicurezza molto precise e rigide: si è deciso di copiare lettera per lettera tutto il contenuto delle Scritture ebraiche non scrivendo mai “a memoria” (nonostante si conosca il testo a memoria), ma di ricopiarlo lettera per lettera per essere senza margine di errore di trasmissione o di distrazione. Qualora un manoscritto dovesse presentare delle dimenticanze, segni di disattenzione o omissioni involintarie, esso viene corretto qualora fosse possibile, o addirittura utilizzato per scopi didattici e non nella liturgia sacra e, in casi estremi, ricopiando dall’inizio la porzione di pergamena coinvolta nell’incidente. Infatti i rotoli della Scrittura non vengono redatti in un unico pezzo di pergamena, ma in più parti ricucite assieme, in modo tale da intervenire solo sulla pergamena interessata qualora ci siano errori da correggere solo in quella parte lì.

Note

  1. Potrebbe essere stato persino lo stesso «sacerdote e scriba» Esdra a “revisionare” sotto ispirazione divina determinate cose che andavano necessariamente aggiustate per il suo tempo e quello futuro. Non a caso, forse, Esdra viene definito «scriba esperto nella legge di Moshéh» (cfr. Esd 7:6,11-12,21). Solo un santo uomo di Dio esperto avrebbe potuto “mettere le mani addosso” alle Scritture senza intenzioni ostili o speculative nei riguardi delle stesse.
  2. Moshéh Rabbénu appartiene all’epoca del 1500-1350 a.C.
  3. Scrivo «anche» perché per i Profeti di Dio non era una novità ricevere per rivelazione e poi redigere dei nomi che ancora devono comparire, come il caso di Geremia che profetizzò il nome di re Ciro di Persia prima ancora che il re pagano venisse concepito. Fatto straordinario è che re Ciro di Persia è l’unico Ciro di Persia esistito nella storia dell’umanità.
  4. Come i nomi dei luoghi «Dan» e «Ur del Caldei», Genesi 14:14; 15:7.

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