La profezia di Daniele delle Settanta Settimane

Gesù Cristo ha enfaticamente dichiarato che le Scritture dell’Antico Testamento contenevano le profezie su di Lui che si dovevano compiere (Lc 24:27,44). Gli studiosi “ufficiali” della Bibbia hanno catalogato più di 300 profezie che trovano compimento esatto nella vita e opera del Figlio di Dio. Una di queste profezie si trova in Daniele 9:24-27, profezia comunemente conosciuta come “Le Settanta Settiname di Daniele”.

Una corretta analisi biblica di Daniele 9:24ss coinvolge diversi fattori:

  1. Bisogna considerare il contesto storico nel quale la profezia è sorta;
  2. Occorre tenere in considerazione gli aspetti teologici dell’opera compiuta dal Messia esposta in questa profezia;
  3. Indispensbile è attenzionare per bene la cronologia suggerita dalla profezia: ciò rappresenta un ottimo esempio della precisione di tale predizione;
  4. Infine, si dovrebbe contemplare il giudizio che si sarebbe riflettuto quando Cristo avrebbe “visitato” la nazione ebraica, sulla scia del Suo essere rifiutato dalla maggior parte degli ebrei dell’epoca (e anche di oggi);

Dunque, guardiamo più da vicino ciascuno di questi fattori.

1. Il contesto storico

Tissot_The_Flight_of_the_PrisonersA causa dell’apostasia d’Israele, il Profeta Geremia predisse che gli ebrei sarebbero finiti come prigionieri a Babilonia e che in questa terra straniera sarebbero stati confinati per settant’anni (Gr 25:12; 29:10). Possiamo essere quindi abbastanza sicuri che, stando alle cronache bibliche, la predizione di Geremia si è dimostrata accurata: il periodo generale del confinamento babilonese fu di settant’anni (Dn 9:2; 2Cr 36:21; Zc 1:12; 7:5). Tuttavia, qual è il motivo per il quale è stata decretata mediante profezia una prigionia settantennale? Perché non di sessanta o ottanta? C’è una ragione per questo lasso di tempo esatto?

La legge di Mosè ordinava agli Israeliti di considerare un anno ogni sei come “anno shabbatico”. Quindi, ogni sette anni andava osservata quest’annata speciale. Il decreto sarebbe entrato in vigore nel momento in cui, disse il Signore rivolto agli Israeliti per bocca di Mosè, «[…] sarete entrati nel paese che Io vi do, la terra dovrà avere il suo tempo di shabbat consacrato a Yehwàh». Si legga questo decreto nel suo insieme in Levitico 25:1-7. A quanto pare, però, nel corso dei secoli, Israele ignorò questo decreto imposto da Yehwàh in persona. Nella storia biblica pre-esilio, non sembra esserci alcun indizio scritturale in cui gli Israeliti abbiano osservato questo “anno shabbatico”. Così, secondo la testimonianza del secondo libro delle Cronache, i settant’anni della cattività babilonese assegnati agli Israeliti sarebbero stati scontati «fino a che il paese avesse goduto dei suoi sabati [shabatotéha]; difatti esso dovette riposare per tutto il tempo della sua desolazione, finché furono compiuti settant’anni» (36:21).

Ora, se ognuno dei settant’anni di esilio rappresenta la violazione del decreto shabbatico (ogni sette anni), proprio come il passo di cui sopra sembra suggerire, questi indicherebbe che Israele trascurò il decreto divino per circa 490 anni, quasi mezzo millennio, a partire dal giorno in cui gli Israeliti entrarono «nel paese dato da Yehwàh».

Il periodo di cattività babilonese, in sostanza, servì per scontare la pena di aver peccato sulla non osservanza di quel decreto per quasi cinque secoli nel passato. Allo stesso tempo, la profezia di Daniele si proietta telescopicamente nel futuro per una durata di altrettanti 490 anni, fino a quando «l’Unto» avrebbe «messo fine al peccato» (9:24). La profezia di Daniele, quindi, sembra segnare una sorta di punto “a metà strada” nello schema storico delle cose.

Nel primo anno di Dario (ca. 538 a.C.), nominato re del regno dei Caleddìm (Caldei), Daniele, «meditando sui libri» (cioè le Scritture profetiche) e riflettendo sul lasso di tempo suggerito dalle profezie di Geremia, calcolò che il periodo di prigionìa era di settant’anni (9:1-2). Ha quindi affrontato Yehwàh in preghiera confessando i propri peccati intercedendo anche per quelli della nazione. Ha poi chiesto a Yehwàh di allontanare la Sua ira da Gerusalemme e consentire che il Tempio venisse ricostruito (9:16-17). Yehwàh, dunque, risponse alle suppliche di Daniele in un messaggio ricevuto dall’emissario Gevri’El (9:24-27): la casa di Dio sarebbe stata ricostruita! Ma una benedizione più significativa sarebbe venuta, però, nella persona dell’Unto (Il Cristo, Il Messiah) che sarebbe stato ancora più grande del Tempio (cfr. Mt 12:6). Questa profezia, quindi, fu un delizioso messaggio di consolazione rivolto agli Ebrei in esilio.

2. Gli aspetti teologici

Masolino-da-panicale-Battesimo-di-Cristo-1430-Castiglione-OlonaQuesto contesto emozionante stabilisce lo scopo primario della missione di Cristo sulla Terra. In primo luogo, il Messiah sarebbe venuto per affrontare il problema del peccato dell’uomo. Avrebbe posto fine alla trasgressione ed ai peccati, tema sviluppato su ampia scala in tutto il Nuovo Testamento (Mt 1:21; 20:28; 26:28; 1Cor 15:3; 2Cor 5:21; Gal 1:4; Ef 1:7; Col 1:20; 1Pt 2:24; Ap 1:5 – passaggi che sono solo un campionamento frazionario dei riferimenti circa questo argomento).

L’avvento di Cristo non ha sancito una “fine” per il peccato, nel senso che la malvagità era stata sradicata dalla Terra. Piuttosto, l’opera dell’ultimo Soter, il Salvatore, è stato quello d’introdurre un sistema in grado di fornire efficacemente e in modo permanente una soluzione alla difficile situazione del peccato umano. Questo è uno dei temi del Libro agli Ebrei. La morte di Gesù è avvenuta «una volta sola» (Eb 9:26). In sostanza, il Signore non dovrà più tornare sulla Terra per ripetere nuovamente l’esperienza del calvario. Una volta e per sempre!

Interessante è notare come Daniele sottolinea che questo Unto del futuro evrebbe risolto i problemi legati alla «trasgressione», al «peccato», etc., come a suggerire che il Signore è in grado di trattare con il male in tutte le sue orribili forme. Allo stesso modo, il Profeta Isaia, nel capitolo 53 del suo racconto, ha rivelato che il Messia si sarebbe sacrificato per la «trasgressione» (5,8,12), il «peccato» (10,12) e «iniquità» (5-6,11). Isaia 53 è degno di essere menzionato perché è spesso citato nel Nuovo Testamento in concomitanza all’opera espiatrice del Signore al momento della Sua venuta in carne ed ossa. Dal momento che Daniele 9:24ss ha suggerito una spinta identica a quella di Isaia, la sua predizione deve necessariamente concentrarsi sull’opera del Salvatore sulla croce, e non alla Parusia come viene asserito dai cosiddetti “premillenialisti”.

In secondo luogo, in aggiunta al suo lavoro di redenzione in connessione con il peccato, Daniele ha dimostrato che il Messiah avrebbe inaugurato un’era di «giustizia eterna». Questo, ovviamente, è un riferimento al Vangelo. Nelle pagine del Nuovo Testamento, l’Apostolo Paolo ha con forza sostenuto che il piano del Cielo per l’uomo è stato reso noto «nel tempo presente» (Rm 3:21-26), vale a dire nell’epoca Cristiana e anche nel nostro tempo mediante il Vangelo scritto (Rm 1:16-17).

In terzo luogo, il messaggio dell’emissario Gevri’El ha suggerito che a causa dell’opera dell’Unto, la visione e la profezia sarebbero state sigillate. Il termine ebraico indica ciò che viene portato ad una “compimento” o è finito (vedi Gesenius, 1979, p.315). Va sottolineato anche che il maggior onere dell’Antico Testamento è stato quello di annunciare la venuta del Figlio di Dio. Pietro ha dichiarato che i profeti dei tempi antichi annunciavano le «sofferenze di Cristo e le glorie che dovevano seguire». Egli ha affermato che questo messaggio ora è annunciato nel Vangelo (1Pt 1:10-12).

Qui è un punto cruciale (dove qualcuno inizierà ad odiarmi). Con l’avvento del Salvatore per realizzare la redenzione umana e con il completamento del Nuovo Testamento che è la rivelazione scritta, completa e definitiva di Dio, la necessità di nuove “visioni e profezie” è diventata oggi pressoché obsoleta. Di conseguenza, la “profezia” (e altri cosiddetti doni rivelatori) hanno smesso di agire per come agivano un tempo (si prega vivamente di leggere i passi seguenti: 1Cor 13:8-13; Ef 4:11-16). Non ci sono “visioni soprannaturali” e/o “profezie dell’ultim’ora” date da Dio per questa nostra età. Ciò che doveva essere rivelato è stato gia rivelato; di conseguenza ciò che doveva adempiersi si è già adempiuto a suo tempo, e ciò che si adempirà si adempirà secondo le rivelazioni già espresse in modo definitivo nella Scrittura e non dai profeti con l’etichetta. Quindi, invito il lettore a guardarsi bene da coloro che dicono spesso e volentieri «lo Spirito mi ha rivelato…», quando non c’è null’altro da rivelare se non il puro e semplice «perfezionamento dei Santi […] per l’edificazione del corpo di Cristo» mediante i cinque ministeri.

Chiusa parentesi, in quarto luogo, Daniele ha dichiarato che il “santissimo” sarebbe stato Unto/Cristo/Messiah. Qual è il significato di questa espressione? I premillennialisti dispensazionalisti interpretano questo come un punto di riferimento per la ricostruzione del Tempio ebraico durante il cosiddetto “millennio”. Ma il concetto premillenniale non è assolutamente supportato dai fatti!

Qualsiasi visione che si adotta per quanto riguarda questa fraseologia dev’essere coerente, naturalmente, con altri dati biblici. L’espressione “santissimo” probabilmente è un’allusione a Cristo stesso, mentre “unzione” è un riferimento alla dotazione del Signore con lo Spirito Santo all’inizio del Suo ministero (Mt 3:16; At 10:38).

Prendere in considerazione i seguenti fattori:

  1. Anche se è possibile che la grammatica possa riflettere come “santissimo” sia una persona che un luogo (vale a dire, in una forma neutra), può anche suggerire un senso maschile, Santissimo. Le punte della bilancia si rivolgeranno verso il maschile dal momento che “unto, il principe” è menzionato nel versetto 25;
  2. L’unzione, ovviamente, appartiene allo stesso periodo di tempo, come gli eventi precedentemente menzionati, quindi è associata alla prima venuta, non alla seconda;
  3. L’atto di unzione non è da associare al luogo riservato del Tempio dell’Antico Testamento conosciuto come “Santissimo” o “Santo dei Santi”;
  4. L’unzione è stata praticata nel periodo dell’Antico Testamento come un rito d’inaugurazione e consacrazione agli uffici di Profeta (1Re 19:16), Sacerdote (Es 28:41), e re (1Sam 10:1). Significativamente, anche le funzioni di Cristo in ciascuno di questi tre ruoli (vedi At 3:20-23; Eb 3:1; Mt 21:5);
  5. L’unzione di Gesù fu predetta in altre parti dell’Antico Testamento (Is 61:1), infatti, il termine greco “Cristo” e l’ebraico “Messiah” significano rispettivamente la stessa cosa: “unto”. La Scrittura, quindi, ci parla di molti “unti” (cristi/messiah), ma solo uno è l’Unto, IL Cristo, IL Messiah.

In quinto luogo, la predizione sull’Unto è stata quella che avrebbe stabilito «un patto con molti» (Dn 9:27). Una resa migliore della traduzione sarebbe, «fare un fermo patto». Il significato sembra essere: l’alleanza del Messiah sicuramente rimarrà ferma, vale a dire, rimarrà tale anche se viene ucciso. Il patto è quel patto di grazia con la quale, con la vita e la morte del Messiah, si ottiene la salvezza.

Infine, a seguito della morte di Cristo, «il sacrificio e offerta» sarebbero cessati (9:27). Questa è un’allusione alla cessazione dei sacrifici animali come conseguenza dell’ultima offerta sacrificale di Gesù sul Golgota. Quando il Signore è morto, la legge Mosaica (e non il Decalogo) è stata «inchiodata sulla croce» (Col 2:14). Quel “muro di separazione” è stato abolito (Ef 2:13-17), e il “primo patto” è stato sostituito dal “secondo” (Eb 10:9-10). Questa è stata la “nuova alleanza” della famosa profezia di Geremia (31:31-34; cfr. Eb 8:7ss), ed è stata ratificata dal sangue di Gesù stesso (Mt 26:28). Questo contesto è un ricco depositario della Verità riguardante le realizzazioni di Cristo per mezzo della Sua opera redentrice.

3. La cronologia

cronologiaL’elemento temporale di questa famosa profezia ha permesso agli studiosi ebrei di sapere quando il Messiah promesso sarebbe morto per i peccati dell’umanità. La cronologia di questo contesto profetico comporta tre cose:

  • Un punto d’inizio;
  • Un intervallo di tempo;
  • Un evento conclusivo.

Il punto d’inizio è stato in concomitanza con il comando di «restaurare e ricostruire Gerusalemme». L’intervallo di tempo tra il punto di paretnza e il punto conclusivo è stato specificato come “settanta settimane”. Queste settanta settimane sarebbero di sette giorni ciascuna, per un totale di 490 giorni. Ogni giorno rappresenta un anno nella storia profetica. La maggior parte degli studiosi conservatori ritengono che il simbolismo denota un periodo di circa 490 anni. Infine, l’evento conclusivo sarebbe il “taglio” (cioè la morte) dell’Unto (9:26). [1]

Se si è in grado di determinare la data del punto d’inizio di questa profezia, diventa una questione relativamente semplice da capire, ovvero che il tempo/durata specificata nel Testo annunciano dal punto di vista matematico e visibile ad occhio nudo l’anno esatto in cui il Signore doveva essere ucciso. Dobbiamo quindi restringere la nostra attenzione riguardo a questa questione.

Ci sono tre possibili datazioni per l’inizio del calendario delle “settanta settimane”, delle quali solo una è quella più plausibile:

  1. Zorobabele ha guidato un gruppo di ebrei dalla cattività nel 536 a.C. Questo sembra essere un punto d’inizio del tutto improbabile, perchè 486 anni conteggiati dal 536 ci riporta al 50 a.C., ovvero un’ottantina d’anni prima della morte di Gesù. Quindi non va bene;
  2. Nehemia ha guidato un gruppo di ebrei in Kanaan nel 444 a.C. Nemmeno questo sembra essere il punto d’inizio del calendario profetico poiché 486 anni dopo il 444 a.C. termina intorno al 42 d.C. – una dozzina di anni dopo la morte di Cristo. Neanche questa datazione va bene;
  3. Tuttavia, nel 457 a.C., Esdra ha condotto un gruppo di ebrei da Babilonia a Gerusalemme. Questa data sembra calzare a pennello dal punto di vista matematico, in quanto se iniziamo la datazione proprio al 457 a.C. e si va avanti per 486 anni e mezzo (vedi nota 1), la data risultante è il 30 a.C., lo stesso anno della crocifissione di Cristo! [2]

L’obiezione più forte su questo terzo ed ultimo punto è l’affermazione che Esdra non ha espresso alcuna cosa circa la ricostruzione di Gerusalemme, e quindi il punto di partenza della profezia non sarebbe dato dal momento del suo ritorno. Il noto studioso Gleason Archer ha risposto a questa accusa affermando che la commissione di Esdra…

[…] a quanto pare comprendeva l’autorità per ripristinare e costruire la città di Gerusalemme (come si può dedurre da Esdra 7:6-7 e anche 9:9 in cui si afferma: «Dio […] ci ha fatto trovare benevolenza verso i re di Persia, i quali ci hanno dato tanto sollievo da poter rialzare la casa del nostro Dio e restaurare le sue rovine, e ci hanno concesso un luogo di riposo in Giuda e a Gerusalemme»). Anche se Esdra non è effettivamente riuscito a compiere la ricostruzione delle mura finché Nehemia arrivò tredici anni più tardi, è logico comprendere il 457 a.C. come il terminus a quo del decreto previsto in Daniele 9:25. [3]

In “mezzo” alla settantesima settimana, vale a dire dopo l’adempimento dei 486 anni e mezzo, l’Unto doveva essere «tagliato fuori». Questo è un chiaro riferimento alla morte di Gesù senza ricorrere ad artificiose interpretazioni. Isaia predisse similmente che l’Unto sarebbe stato «tolto di mezzo […] strappato dalla terra dei viventi» (53:8).

Ma perché le settanta settimane della profezia di Daniele sono suddivise nei tre segmenti di 7 settimane; 62 settimane e metà di 1 settimana? Effettivamente c’era uno scopo in questa ripartizione, vediamola:

  1. La prima suddivisione di “7 settimane” (ovvero 49 anni) si estende su quel periodo di tempo durante il quale la ricostruzione effettiva di Gerusalemme sarebbe avvenuta dopo il ritorno degli ebrei in Palestina (9:25). Questa, in sostanza, è stata la risposta alle suppliche di Daniele (9:16). L’epoca della ricostruzione è stata quella dei “tempi angosciosi”. I nemici degli ebrei li avevano oppressi nei giorni precedenti (vedi Esd 4:1-6), ed hanno continuato a farlo fino al tempo di Esdra e Nehemia;
  2. Il secondo segmento di “62 settimane” (434 anni), se aggiunto ai precedenti 49 anni, produce un totale di 483 anni. Quando questo valore viene calcolato dal 457 a.C. (tempo di Esdra), esso termina nel 26 d.C.: l’anno in cui Gesù venne battezzato ed ebbe inizio il Suo ministero pubblico;
  3. Infine, la “metà settimana” (3 anni e mezzo) riflettono il tempo del ministero e predicazione del Signore. Quest’ultimo segmento della profezia si conclude nel 30 d.C., l’anno della morte di Gesù!

Chi è bravo in matematica (e anche chi non lo è) può farsi i conti da solo.

4. Il giudizio e conseguenze del rifiuto del Cristo

caduta gerusalemmeNessun revisionismo storico può alterare il fatto che il Gesù biblico sia stato messo a morte dal suo stesso popolo, gli ebrei (Gv 1:11). Ciò non sanziona qualsiasi maltrattamento del moderno popolo ebraico; il revisionismo storico, tuttavia, riconosce che Israele in qualità di “nazione”, ha subito una grave conseguenza a causa del suo ruolo nella morte del Messiah. Gli ebrei ortodossi, comunque, nonostante ancora oggi neghino Gesù come Il Messiah predetto e considerino il Nuovo Testamento come testo “inattendibile” e senza alcun valore, citano varie volte nel Talmud (la loro tradizione, la stessa denunciata proprio dal Cristo) la sua persona: questo dimostra che comunque costoro riconoscono che almeno “quel” Gesù della Bibbia è esistito realmente pur negandone il Suo Essere.

La profezia di Daniele raffigura l’invasione romana di Gerusalemme e la distruzione del Tempio ebraico. Il Profeta ha parlato di un certo «principe che verrà» che avrebbe distrutto «la città e il Santuario» come un diluvio travolgente (9:26). Tutto questo è stato “determinato” (9:26-27) da Dio a causa del rifiuto degli ebrei di Suo Figlio (vedi Mt 21:37-41; 22:1-7).

L’interpretazione di questa parte della profezia è fuori discussione. Gesù, nel Suo discorso relativo alla distruzione di Gerusalemme (Mt 24:1-34), ha parlato di «abominio della desolazione, della quale ha parlato il profeta Daniele» (24:15). Il Signore alludeva a Daniele 9:27. L’«abominio della desolazione» è stato un riferimento all’esercito romano, sotto il suo comandante, Tito («il principe» – 9:26), che vinse Gerusalemme nel 70 d.C. [3]

I fatti storici sono questi.

Nel 66 d.C., gli ebrei, che sono stati sotto il dominio di Roma, si rivoltarono contro l’Impero. Questa ribellione fece affondare gli ebrei in diversi anni di sanguinoso conflitto contro i Romani. Tito, figlio e successore del famoso Vespasiano, ha rovesciato la città di Gerusalemme (dopo cinque mesi di assedio), nell’estate del 70 d.C. La Città Santa venne bruciata (cfr. Mt 22:7), e il “santuario” (Tempio) venne demolito. Cristo aveva informato i Suoi Discepoli che era giunto il giorno in cui la casa degli ebrei sarebbe stata ridotta in desolazione (Mt 23:38); anzi, non ne sarebbe rimasta pietra su pietra (Mt 24:2). Significativamente, solo una pietra di quel Tempio, e altre parti, sono state identificate dagli archeologi.

Questo evento è stato denominato da Daniele come «»abominio della desolazione», perché la città di David fu devastata dall’esercito Romano – quella forza abominevole inzuppata di idolatra. Non è senza un notevole interesse che, apparentemente, anche gli ebrei abbiano riconosciuto che la distruzione della nazione ebraica era un adempimento della profezia di Daniele. Anche Giuseppe Flavio, lo storico ebreo, ha dichiarato che «Daniele ha scritto anche per quanto riguarda il governo romano», e che il paese sarebbe stato ridotto in deserto a causa della loro ferocia (Antichità, Libro X.XI.7).

Conclusione

Il record di Daniele per quanto riguarda le “settanta settimane” è una profonda dimostrazione della validità profetica della Scrittura. Si preannuncia la venuta del Messiah e i dettagli della Sua opera benefica. La profezia individua anche l’anno esatto della crocifissione di Gesù. Infine, rivela le disastrose conseguenze del rifiuto del Figlio di Dio.

Alla luce dello studio sopra esposto, ognuno è libero di trarre le proprie conclusioni: interpretazione personale? Storie inventate o dati di fatto storici?

Note

[1] In realtà, la cronologia è divisa in tre segmenti, il totale delle quali rappresenta 486 anni e mezzo. Questo sarebbe l’inervallo di tempo effettivo tra il comando di ripristinare Gerusalemme e la morte dell’Unto.

[2] Il reale anno di nascita del Cristo risale al 4-3 a.C. e non al tradizionale “anno zero”.

[3] Il “principe” del versetto 26 non è lo stesso come il “principe unto” del versetto 25. Il “principe” del versetto 26 viene dopo che il principe unto viene tagliato fuori.

4 Risposte a “La profezia di Daniele delle Settanta Settimane”

  1. Però la distruzione del tempio non coincide con l ultima settimana …
    Fino a metà settimana tutto ok….ma dopo no.

  2. E se consideriamo lo starting point dalla ricostruzione del tempio per effetto del decreto di Dario I avvenuta nel 518 a.c.? aggiungendo 483 anni si arriva al 30 a.c in cui fu soppresso il Sommo Sacerdote Giovanni Ircano II. Ciò avrebbe senso in quanto Il testo al verso 25 non dice “principe consacrato”, ma Messia condottiero, il termine ebraico usato è “Mashiach Naghid” e ad essere chiamato in modo simile è Ciro di persia che in Ishaiah 45:1 è chiamato “Messia” (ebr. mashiach) e in Ishaiah 44:28 è chiamato “condottiero” con il sinonimo “roì”. mentre al verso 26 E’ il sommo sacerdote. Il testo dice: “Mashiach” e quando si parla del Tempio esso è riferito al Sommo sacerdote che è il “Cohen haMashiach”, il Sacerdote unto. Qui finisce la discendenza dei sommi Sacerdoti discendenti di Aharon, il testo continua e dice “icaret mashiach veen lo”. La radice del verbo è “carat” e il “caret” nella Torà significa il taglio della discendenza, la morte per mano di Dio, non per mano d’uomo. Considerando poi che è dubbia la datazione del libro di Daniele, ciò potrebbe essere una profezia post eventum. :/

    1. Non credo sia lecito “dare i numeri”. Mi chiedo, hai imparato ebraico così in fretta, ho hai letto da qualche parte.

      Io il post eventum non lo considererei troppo, in quanto, come Isaia, l’autore biblico potrebbe aver scritto ciò che ha scritto come se avesse visto le cose predette in prima persona.
      Infatti, le mie analisi su Isaia così le ho introdotte (http://danielesalamone.altervista.org/i-rotoli-del-mar-morto-e-il-profeta-isaia-parte-1/):

      “Un aspetto straordinario del libro di Isaia è la sua capacità di attraversare i secoli. Isaia si colloca fra il re Uzzia ed Ezechia, cioè più di un secolo prima dell’invasione babilonese collegata alla deportazione. Che Isaia annunci la deportazione è normale per un profeta, è invece straordinario che veda chiaramente oltre, cioè che veda la caduta di Babilonia e l’avvento dei Persiani, indicando anche il nome dell’imperatore, Ciro, che sarebbe emerso circa due secoli dopo, non però parlando di questi fatti come se dovessero avvenire, ma come se fossero già avvenuti! Questo è ciò che trae in inganno il lettore disattento delle Scritture: non cogliere il linguaggio espresso dal redattore biblico, ovvero coglierne la sua “poetica” fraintendendo il lasso “temporale” delle sue affermazioni”.

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