Il significato di “grazia” dal punto di vista ebraico (non necessariamente messianico)

La maggior parte dei teologi definisce la “grazia” come «favore immeritato». Ma dobbiamo stare attenti a non fare interferire un pregiudizio teologico in quello che vuole dire il testo biblico. Quindi, prima dobbiamo capire cosa significa la parola italiana «grazia» al di fuori della teologia. Il dizionario (DeAgostini) fornisce diverse definizioni di base per grazia:

  1. Fascino che emana da una persona o da una cosa, dovuto a eleganza, semplicità e dolcezza: la grazia di un volto // pl. le bellezze fisiche di una donna: concedere le proprie grazie, concedersi fisicamente;
  2. Composta eleganza di atteggiamenti e di gesti; garbo, finezza: muoversi con grazia;
  3. Buona disposizione d’animo verso gli altri: essere nelle grazie di qualcuno, riuscirgli gradito;
  4. Concessione straordinaria; condono totale o parziale di una pena: concedere una grazia; fare grazia della vita;
  5. (teologia) il complesso di doni soprannaturali che Dio concede all’uomo per disporlo alla partecipazione della vita eterna // (estensione) speciale soccorso che l’uomo chiede alla divinità;
  6. Gratitudine, ringraziamento: rendere grazie a qualcuno, esprimergli la propria riconoscenza.

Poiché la lingua ebraica è molto diversa dall’italiano, dobbiamo esaminare il significato ebraico di questa parola per vedere se una o tutte le definizioni italiane di cui sopra sono definizioni appropriate per la parola ebraica tradotta come «grazia».

Visto che molti amano giocare sull’etimologia delle parole greche ed ebraiche della Bibbia per portare acqua al proprio mulino, in questa sede farò altrettanto, ma con l’unico scopo di tirare acqua al mulino della Parola di Dio! La parola ebraica tradotta come «grazia» è חֵן chen. Al fine di scoprire il significato originale di questa parola, è importante esaminare innanzitutto ciascuna delle radici e delle parole derivate da questa “radice madre”.

Dalla parola חֵן chen deriva la radice verbale חַנָּה channah. Le due parole sono uguali, solo che nella seconda vi è l’aggiunta di una ה he come ultima lettera. Il passo seguente fornisce un buon esempio del significato di questo verbo:

«E Isacco andò via da là, accampandosi presso la valle del fiume di Gherar, dimorando là» (Genesi 27:17. La traduzione è mia, dal Commento alla Genesi)

Il verbo «accampandosi», che in ebraico è coniugato in וַיִּ֥חַן vaychàn, significa più precisamente «piantare le tende». Il sostantivo derivato da questo verbo è מחנה machanèh. Ma leggiamo ancora un altro esempio biblico:

«E venne a trovarsi fra l’accampamento degli egiziani e l’accampamento d’Israele. E avvenne che la nube oscurò la notte agli uni e illuminò tutta la notte agli altri. E questo non si avvicinò a quest’altro» (Esodo 14:20, la traduzione è mia, dal Commento all’Esodo)

Quando pensiamo a un accampamento la nostra mente è proiettata a tende sparse in una grande area, ma i campi degli antichi ebrei erano un po’ diversi. Le tende erano disposte in una forma circolare in modo tale da fungere da “muro di protezione” che separava il Tabernacolo dai pericoli esterni. A questo punto sarebbe interessante esaminare il significato delle lettere ebraiche che formano la parola חֵן chen:

  • ח chet
  • ן nun (in questo caso “finale” anche se ha lo stesso significato della נ nun semplice).

La lettera chet significa «muro, separazione» poiché un muro separa l’interno dall’esterno. La nun veniva anticamente rappresentata come un seme che germoglia con il significato di «continuazione», cioè il seme che continua il lignaggio (stirpe, discendenza) della generazione. Quando queste due lettere vengono combinate insieme, significano «il muro che continua». Quindi l’idea di un accampamento era quella di una disposizione di tende che continuano a formare un muro di separazione, quindi in forma circolare o spirale per proteggere l’interno.

Una seconda radice verbale derivata da חֵן chen è חנן channan, scritte in modo uguale ma con l’aggiunta di una ן nun sofit. Questo verbo viene spesso tradotto con «essere gentile» o «avere misericordia», tuttavia questi sono termini astratti e non ci aiutano a comprendere il significato di questo verbo da una prospettiva ebraica che collega sempre le parole a qualcosa di concreto. Uno dei migliori strumenti da utilizzare per trovare il significato più concreto di una parola è quello di guardare come quella parola è parallela ad altre parole in passaggi poetici. Nei seguenti versetti la traduzione del verbo חנן channan sarà sottolineato e la parola con cui è parallelo sarà evidenziata in rosso.

«Abbi pietà di me, o HaShem, perché sono sfinito; risanami, o HaShem, perché le mie ossa sono tutte tremanti» (Salmo 6:2)

«Ascolta, o HaShem, abbi pietà di me; o HaShem, sii Tu il mio aiuto» (Salmo 30:10)

«Ma tu, o HaShem, abbi pietà di me e rialzami, e io renderò loro quel che si meritano» (Salmo 41:10)

«Abbi pietà di me, o Dio, abbi pietà di me, perché l’anima mia cerca rifugio in Te; e all’ombra delle Tue ali io mi rifugio finché sia passato il pericolo» (Salmo 57:1)

«Volgiti a me e abbi pietà di me; dà la Tua forza al Tuo servo e salva il figlio della Tua serva» (Salmo 86:16)

Attraverso questo processo scopriamo che questo verbo è parallelo a idee come guarigione, aiuto, essere sollevati, trovare rifugio, forza e salvezza. Da una prospettiva ebraica concreta חנן channan significa tutto questo, che possiamo riassumere con «fornire protezione». E dove si corre per protezione? Nel campo, e ora vedremo che חַנָּה channah, il campo, e חנן channan, protezione, sono collegati. Dobbiamo perciò vedere come queste due parole sono correlate alla radice principale che è חֵן chen.

«Il regalo è una pietra preziosa agli occhi di chi lo possiede; dovunque si volga, egli ha successo» (Proverbi 17:8).

In questo verso, la parola ebraica חֵן chen è tradotta come «preziosa», qualcosa di bello e prezioso come una gemma.

«La donna che ha grazia riceve onore, e gli uomini forti ottengono la ricchezza» (Proverbi 11:16)

Nel verso di cui sopra la grazia o la bellezza della donna si contrappone alla forza di un uomo.

«La grazia è ingannevole e la bellezza è cosa vana; ma la donna che teme HaShem è quella che sarà lodata» (Proverbi 11:16)

Ancora una volta la parola ebraica viene messa in parallelo con la bellezza. Questa bellezza è qualcosa di prezioso e grazioso, ed è esattamente come gli ebrei avrebbero visto il “campo di protezione” che circondava il Tabernacolo, un luogo grazioso e bello.

Infine, mentre gran parte delle sei definizioni italiane di grazia si possono certamente applicare alla parola ebraica חֵן chen, non trasmettono però completamente l’intera emozione o lo spettro della parola ebraica. Questo è il problema con la traduzione dall’ebraico all’italiano. Il vocabolario italiano è limitato nel modo in cui può esprimere il pieno significato di una determinata parola ebraica.

Gli antichi israeliti certi concetti li afferravano al volo perché era consuetudine della loro lingua e cultura esprimersi in questi modi; mentre noi uomini moderni occidentali abbiamo bisogno di studiare certe cose per arrivare a capo del vero significato di un concetto. Non mi risulta, dalle centinaia di migliaia di predicazioni che ho visto e ascoltato, che qualcuno abbia predicato “per rivelazione dello Spirito Santo” che la parola «grazia» sia collegata al concetto di protezione di un accampamento. Certe cose per essere ben comprese devono essere necessariamente studiate. Conoscere le lingue bibliche è una marcia in più per capire di più, certamente non per capire tutto; ma è sempre meglio conoscere un concetto nella sua intenzione originale piuttosto che inventarsene di nuovi per tirare acqua al proprio mulino.

Conoscere il greco o l’ebraico da liceo non basta; le lingue vanno vissute per averne una buona padronanza! Il mio inglese scolastico non farà mai di me un “british”, ma devo vivere la quotidianità dei londinesi per potermi ben integrare in quella società e cultura. Poi, quando si vuole tirare acqua al proprio mulino come si deve bisogna anche saper fare una ricerca etimologica, perché siamo tutti bravi ad aprire i dizionari che usavano al liceo. La conoscenza di una lingua con la sua grammatica non bastano se non si impara prima a capire la mentalità di una cultura. Se non si conosce la mentalità (e la lingua) ebraica di 2000 anni fa (NON quella odierna), si può capire solo il 40% del messaggio della Scrittura. E sto anche esagerando. Chi vuole conoscere di più si impegna, chi si accontenta del poco, va bene uguale.

2 Risposte a “Il significato di “grazia” dal punto di vista ebraico (non necessariamente messianico)”

  1. Il vostro parlare sia sempre con grazia, condito con sale, per sapere come dovete rispondere a ciascuno.
    Lettera ai Colossesi 4:6 NR94
    https://bible.com/bible/123/col.4.6.NR94

    Pace fratello, Io non so l’ebraico o il greco antico, ma mi piace comprendere sempre di più la Parola di Dio. La nostra “Fonte di acqua viva”.

    Il versetto di Colossesi 4:6 è corretto interpretarlo in questo modo:
    “Il vostro parlare sia sempre con protezione…oppure: “Il vostro modo di parlare sia sempre con “bellezza, gentilezza, con armonia ..ecc?

    Pace e bene fratello.

    1. Pace Marcello, l’articolo risponde già alla tua domanda. In questa sede ho spiegato il concetto dal punto di vista ebraico. Tu mi citi un brano biblico scritto in greco. La parola greca χάριτι (chariti) può tradursi anche con “gratitudine” o “favore”. Il concetto di bellezza, favore, accettabilità rientra tra i vari significati che può avere questa parola. Naturalmente ogni significato va pesato sulla base del contesto che si sta esaminando. Nel caso di Col 4:6, l’esortazione dell’apostolo Paolo è quella di essere gentili nel modo di parlare, avere tatto e discernere il modo più appropriato per rispondere alla persona con la quale stiamo parlando.
      Sulla base di queste informazioni, puoi comprendere anche da solo se la tua interpretazione è corretta oppure no.
      Shalom

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