Rendersi complici dei peccati altrui pur essendo all’oscuro di tali peccati. Possibile?

La Scrittura, in Genesi 34, narra della vicenda di Shekem (Sichem) quando violentò Dinah, la figlia di Yaa’qov. In questo brano veniamo a conoscenza che il padre di Shekem, Chamor, prende le difese del figlio cercando di coprire la faccenda con una proposta di alleanza: scambio di beni e sposalizi tra le figlie e i figli di Chamor e Ya’aqov. Poi avviene che i fartelli di Dinah, Shime’on e Levi, si vendicano passando a fil di spada tutti gli uomini della città di Shekem per la colpa commesso da un solo uomo.

La Scrittura insegna che «la persona che pecca è quella che morirà, il figlio non pagherà per l’iniquità del padre, e il padre non pagherà per l’iniquità del figlio; la giustizia del giusto sarà sul giusto, l’empietà dell’empio sarà sull’empio».1 Ciò significa che se Chamor non avesse assecondato il figlio, il giudizio non sarebbe ricaduto su di lui, ma rendendosi complice allora è come se avesse commesso lui stesso quella violenza su Dinah. Se un padre si comporta in modo retto e il figlio in modo malvagio, o viceversa, il giudizio è previsto solo per l’empio.

Tuttavia, perché il giudizio ricadde su tutta la città di Shekem? Furono tutti complici?

Il giudizio ricadde su tutta la città perché l’azione indegna di Shekem rimase nascosta per cui, il popolo accettando le condizioni di Chamor e Shekem, di allearsi con gli Israeliti per coprire la faccenda, si sono inconsapevolmente resi complici di un qualcosa di cui erano totalmente all’oscuro. Infatti a loro non viene detto quello che aveva fatto Shekem. Parimenti, Adamo si rese complice del peccato della moglie nonostante non sia stato lui, per primo, a commettere quel peccato.

Ora, come può l’uomo essere complice di un peccato altrui di cui ne ignora l’esistenza?

Sempre la Scrittura ci viene in aiuto, spiegando questo concetto con molta chiarezza, ma in altre parole: «Non imporre con troppa fretta le mani a nessuno, e non partecipare ai peccati altrui; conservati puro».2 Altre versioni dicono: «Non aver fretta di imporre le mani a nessuno e non renderti complice dei peccati altrui».

Breve commento: riguardo alle ordinazioni, non bisogna essere troppo facili né accedervi incautamente: ciò che non è ben vagliato, non è infatti privo di pericolo. Anzi, trovando qualcuno in qualche errore, esso va notificato, sia per non rendersi complici del peccato, sia perché gli altri non trovino motivo di inciampo, ma imparino invece a temere. Vale a dire che prima di imporre le mani a qualcuno (o assecondarlo nelle sue azioni) senza conoscerlo per bene, ci si rende partecipi dei suoi peccati, e quindi si è coinvolti inevitabilmente nel medesimo giudizio.

L’esortazione dell’Apostolo Paolo ci fa capire che Timoteo si trovava in una situazione un po’ scomoda, dove presso di lui vi erano uomini con una doppia vita, apprezzati e stimati da tutti nella vita pubblica, mentre dietro le quinte potevano essere dei grandi bestemmiatori, oltraggiatori, diffamatori, bugiardi, ladri, fornicatori, etc., o comunque uomini che per niente riflettevano quella che la Scrittura definisce sana dottrina.3 Imponendo le mani a questo genere di persone – con lo scopo di elargire doni4 o assegnare dei ruoli all’interno dell’assemblea senza prima averli adeguatamente conosciuti e “testati” – si dimostra di essere uomini disavveduti e, come conseguenza, la disavvedutezza e la leggerezza con cui si impongono le mani a queste persone, portano a rendersi loro complici e anche partecipi al medesimo giudizio, alla fine senza neanche conoscere quali genere di peccati costoro continuano a commettere nel segreto delle loro vite invisibili all’uomo, ma visibili a Dio.

Il passo di Ezechiele può risultare in contraddizione con il decreto divino: «punisco l’iniquità dei padri sui figli fino alla terza e alla quarta generazione di quelli che mi odiano».5 Il testo specifica «di quelli che mi odiano», perciò non c’è contraddizione, poiché è facile asserire che Dio non punisce l’iniquità dei padri su quei figli e generazioni che non Lo odiano, cioè che Lo amano e osservano i Suoi precetti.

Infine, gli abitanti della città di Shekem si fidarono con leggerezza della proposta di Shekem e suo padre, senza ben valutare quale fosse la loro condotta morale prima di fidarsi di loro. Quindi si resero complici anch’essi del peccato contro Dinah, perciò furono sterminati tutti.

Note

1 Ezechiele 18:20.

2 1Timoteo 5:22.

3 1Timoteo 1:3-10.

4 Atti 8:18; 1Timoteo 4:14; 2Timoteo 1:6; Ebrei 6:2.

5 Esodo 20:5; cfr. Esodo 34:7; Levitico 26:39; Numeri 14:18; Deuteronomio 5:9; Nehemia 9:2.

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