Steve Wells e le sue assurdità bibliche | i segni dello Zodiaco #4

Steve Wells dice:

«In un apparente avallo astrologico, Dio pone il sole la luna e le stelle nel firmamento in modo che possano essere usati «come segni». Questo, naturalmente, è esattamente ciò che gli astrologi fanno: leggere «i segni» dello Zodiaco nel tentativo di prevedere cosa succederà sulla Terra (1:14)»

Esposizione

Wells fa delle osservazioni molto sottili, subdole e ingannatorie per il lettore poco esperto della Bibbia o comunque poco informato su tali questioni. A parte che a caratterizzare lo Zodiaco sono più precisamente le stelle (costellazioni) e non il sole e la luna, «i luminari maggiori» non servirono per indicare i «segni dello Zodiaco», ma per essere dei «segni del tempo»: giorni, anni e stagioni. «Prevedere cosa succederà sulla Terra» non ha niente a che vedere con l’avanzare del tempo, a meno che s’intenda speculare ulteriormente su questo dettaglio dicendo che le luci celesti servivano non solo per prevedere cosa (evento) doveva succedere, ma anche quando (tempo) dovevano accadere determinate cose sul nostro pianeta. La connotazione astrologica è del tutto falsa e priva di fondamento logico, in quanto il redattore biblico descrive una chiara connotazione cosmica o astronomica senza invocare déi né mostri celesti (a differenza della cultura Mesopotamica). Inoltre, in questo contesto il redattore non menziona mai i due luminari per nome, cioè «sole» (shemésh) e «luna» (yarécha), bensì semplicemente «i grandi luminari» (me’oròt haggedolìm).

La prima volta che nella Bibbia ebraica s’incontra la parola «sole» è in Genesi 15:12, e ricorre insieme a «luna» in Genesi 37:9 quando Giuseppe sogna «il sole, la luna e undici stelle che si inchinavano» d’innanzi a lui. Conosciamo la storia.

L’Ebraico shemésh rievoca l’Accadico shamash, nonché il nome del dio-Sole dei popoli Mesopotamici (conosciuto anche con il nome Utu). Se il redattore biblico – per tradizione biblica Mosè – avesse chiamato il «luminare maggiore» per nome (shemésh), avrebbe potuto lasciare intendere che le sue intenzioni erano quelle di evocare il dio Utu-Shamash Mesopotamico o in senso più ampio lo Zodiaco.

Le antiche civiltà Mesopotamiche (Sumeri, Accadi, Assiri e Babilonesi) avevano un grande interesse per l’astrologia, assegnando ai corpi celesti un’identità divina.[1] Anche gli egiziani avevano delle simili conoscenze, ma nonostante Mosè fosse di adizione egizia e quindi «istruito in tutta la sapienza degli Egiziani» (Atti 7:22), si premurò comunque di evitare certe terminologie per il bene del popolo di Dio.

Se gli antichi lettori o uditori della Scrittura, la Torah, avessero appreso che Dio mise il shemésh e la yerécha piuttosto che «i grandi luminari», vista la tendenza degli Israeliti di abbracciare con molta facilità e parsimonia il culto pagano dei popoli Mesopotamici, ne avrebbero subito approfittato per adorare il sole e la luna quanto a divinità piuttosto che continuare a considerarli semplicemente per quello che in realtà sono sempre stati: luci. Invece, sapientemente, il redattore biblico preferisce non utilizzare questi nomi proprio per far sì che gli Israeliti non potessero trovare scuse e adorare degli astri.

Anche in questo caso, il tentativo di Wells nel far dirottare la corretta lettura della Bibbia è risultato vano.

Note

[1] Vedi Daniele Salamone, La Bibbia non è un mito – Gli speculatori ci raccontano un’altra storia, La Pietra Angolare, 30 settembre 2016. Per ulteriori approfondimenti riguardo le divinità Mesopotamiche, vedi anche Daniele Salamone, Nibiru e i Figli delle Stelle – Gli Antichi Astronauti sono realmente esistititi?, una produzione La Nuova Apologetica, Aprile 2017.

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