L’incarcerazione di Yoséf: Potifàr lo punisce o lo protegge?

Il versetto 19 del capitolo 39 di Genesi dice che non appena Potifàr ascolta le parole della moglie in relazione alle presunte violenze sessuali che Yoséf avrebbe fatto su di lei, si infuria. Questa è la lettura tradizionale che ci viene proposta dai traduttori moderni:

«Così, quando il suo padrone udì le parole di sua moglie che gli parlava in questo modo dicendo: «Il tuo servo mi ha fatto questo!», si accese d’ira».

Nel mio Commento alla Genesi ho proposto questa traduzione:

«E come il suo padrone ebbe udito le parole di sua moglie che gli parlava dicendogli queste cose: “Il tuo schiavo mi ha fatto questo!”, egli si accese d’ira».

Ebbene, questa è la più classica traduzione che qui ho voluto mantenere dell’espressione àsah lì («mi ha fatto»), ma ci tengo a spiegare il perché, a mio avviso, tale traduzione è errata ed andrebbe indicata diversamente. Il verbo asàh («fare») possiede il mappiq, e cioè quel tipo di puntino che viene inserito soltanto al centro della consonante he (non è un daghesh) che aggiunge ad una parola un suffisso femminile. Preciso: questo suffisso non fa diventare la parola “al femminile”, ma senza variarne il genere (maschile o femminile) il genitivo determina un possesso.

Qualche esempio:

  • se io leggessi bet leggerei «casa/abitazione» (parola allo stato assoluto);
  • se io leggessi betò leggerei «casa/abitazione di lui» (parola con suffisso pronominale di prima persona maschile singolare);
  • se io leggessi betàh leggerei «casa/abitazione di lei» (come la recedente parola, ma con suffisso femminile).

Qui il verbo asàh ha proprio il suffisso femminile: «fatto/azione di lei», anziché semplicemente «fatto/azione».

Non sembra essere chiaro, inizialmente, il motivo per cui il copista abbia riportato la parola asàh scritta in questo modo dato che la moglie di Potifàr sta raccontando al marito i «fatti» riguardanti Yoséf; ma a me pare di capire, contestualmente parlando, che Potifàr non si arrabbia per quello che Yoséf avrebbe «fatto» a sua moglie, ma a causa delle parole di accusa che lei rivolge nei confronti di Yoséf. Nel senso che Potifàr non è arrabbiato contro Yoséf, ma contro sua moglie che osa parlare male dell’unica persona di cui egli si fida. Ciò significa che Potifàr non si fida della moglie!

Con l’espressione «fatti di lei» l’autore biblico originale (e così il copista che lo ha fedelmente indicato) ha voluto far capire ai suoi lettori che le parole che dice la donna gli si rivoltano contro. Perciò si intenda: «la donna raccontò al marito i fatti di lei», cioè «la propria versione dei fatti», che è differente da quella versione che Yoséf avrebbe potuto raccontare, giustamente, per difendersi.

Come si può spiegare allora l’incarcerazione di Yoséf? Semplicemente, Potifàr intese isolarlo appositamente per proteggerlo, infatti è sempre lui, Potifàr, a permettere che Yoséf continui ad essere importante anche dentro il carcere. Yoséf non viene imprigionato nelle carceri riservate alla servitù, ma al carcere riservato ai nobili, dove nessuno avrebbe potuto fargli del male.

Tratto dal mio Commento alla Genesi

6 Risposte a “L’incarcerazione di Yoséf: Potifàr lo punisce o lo protegge?”

  1. Ho alcune perplessità su questa interpretazione. Per esempio nella parte finale dici: “…Potifàr intese isolarlo appositamente per proteggerlo, infatti è sempre lui, Potifàr, a permettere che Yoséf continui ad essere importante anche dentro il carcere. Yoséf non viene imprigionato nelle carceri riservate alla servitù, ma al carcere riservato ai nobili, dove nessuno avrebbe potuto fargli del male”. Questo non è però in armonia con altre scritture in riferimento a Giuseppe. Vedi Salmo 105:1 “Gli legarono i piedi con catene, gli serrarono il collo con ferri”. Questo riferimento alle catene mal si addice ad una persona che gode di protezione ad alti livelli, non credi? Grazie

    1. Salve Fausto, benvenuto nel blog e grazie sorpattutto per aver sollevato la questione sul Salmo 105:18. Per completezza di informazioni, tutta la parte dedicata a Giuseppe sono i versi 17-22. Perché ho specificato «versi» e non «versetti»? Ho specificato «versi» perché i salmi sono testi poetici e sapienziali, mentre «versetti» si addice più alla letteratura storica e cronachistica.

      Dunque, ritornando alla Genesi, al di là della mia interpretazione che non pretende di essere quella migliore, bisognerebbe cercare di capire anzitutto come potrebbe un uomo «legato ai piedi con catene» (come dice il salmista) essere il responsabile e supervisore dei detenuti. L’affermazione di Genesi 39:22 andrebbe in contraddizione con quanto viene espresso nel Salmo 105.

      La mia convinzione è che un testo poetico come un salmo (poesie cantate) non va necessariamente approcciato alla lettera, perché i «piedi legati con catene» e «il collo serrato» possono semplicemente rappresentare il suo satuts di «servo» nonostante godesse di privilegi non indifferenti. Nonostante Giuseppe fosse l’amministratore di Potifàr, era pur sempre uno dei suoi schiavi acquistati dai mercanti Ismaeliti. A mio avviso, il Salmo, in relazione alla figura di Giuseppe, usa dei simboli per indicare la condizione in sé di schiavo, non che fosse effettivamente legato come un criminale. Potifàr non avrebbe neanche potuto sottoporlo a tali condizioni, perché almeno il testo ebraico è chiaro: Potifàr si infuria con la moglie, non con Guseppe. Perciò avrebbe dovuto punire severamente la moglie e non il suo servo fedele. Ma per non destare scandali nella sua casa, accontenta in un certo senso la moglie, ma allo stesso tempo fa in modo che Giuseppe non paghi per una colpa non commessa. L’equivoco nasce leggendo le Scritture e ragionandoci sopra con mentalità occidentale. Se imparassimo a ragionare un po’ più con la mentalità ebraica, molte ingongruenze ritroverebbero subito una soluzione più semplice.

      Giustamente lei dice che il riferimento alle catene mal si addice ad una persona che gode di protezione ad alti livelli, e sono pienamente a favore con la sua affermazione. Allo stesso tempo io potrei dirle che una persona legata con catene non potrebbe svolgere il lavoro di supervisore e «sorvegliante di tutti i detenuti del carcere». Com’è possibile che un uomo incatenato ai piedi e al collo impartisca ordini? E’ inoltre specificato che «nulla si faceva senza di lui». Quindi, chi ha ragione? La Genesi o il Salmista? Naturalmente entrambi, perché Genesi mostra un Giuseppe di successo, rispettato anche in carcere in qualità di “detenuto innocente”, perché «YHWH era con lui»; mentre il Salmo mostra poeticamente la sua condizione di schiavo, non che fosse incatenato, ma «come se lo fosse» dato che comunque non era libero di ritornarsene dalla sua famiglia essendo schiavo di proprietà di Potifàr.

      Spero di averle dato qulche suggerimento per una riflessione aggiunta. Detto questo la ringrazio ancora per aver sollevato la questione del Salmo. Collaborando con sereni scambi di opinioni, si può arrivare insieme ad una soluzione, anche se dal punto di vista della fede si possano seguire strade differenti.

      Grazie

      Shalom

  2. Grazie Daniele, sto studiando con amore e passione la Bibbia . Non sono più giovanissimo, è solo negli ultimi anni ho incontrato la Parola e , con l’aiuto dello S.S, e indicazioni di percorso date anche da persone che tu conosci(D.Properzi), sto imparando la meravigliosa ricchezza della Bibbia. Ho ordinato due tuoi libri ed arriveranno a breve , per la tua ultima fatica sulla
    Genesi sto attendendo per motivi di trasloco. Ma sarà il prossimo regalo che mi faro’.Per adesso a presto e grazie per i tuoi insegnamenti così “unti”.

    1. Shalom Andrea. Grazie per aver visitato il mio blog.
      Ti ringrazio per il tuo ordine e prenditi tutto il tempo che vuoi per la mia ultima fatica qual è il Commento alla Genesi. Certamente la nostra amicizia in comune avrà saputo consigliarti, anche perché è stato il mio revisore.

      Grazie per la fiducia.

      Daniele

  3. Anche perché se avesse creduto che gli aveva insidiato la moglie, avrebbe dovuto condannarlo a morte, quindi già il solo fatto di averlo lasciato vivo dimostra che non ha creduto alla moglie. Quando all’incarcerazione, io l’ho sempre vista così: se non avesse preso nessun provvedimento contro di lui, mostrando di avere capito che cosa esattamente era successo, avrebbe dovuto condannare a morte la moglie, cosa che evidentemente non aveva intenzione di fare (bellissime, a questo proposito, le pagine di Thomas Mann), quindi ha scelto un compromesso: una punizione sostanzialmente fittizia, revocabile in qualunque momento, per mettere a tacere le malelingue e salvare la pace domestica.

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