Speculazioni cristologiche su BERESHIT

Premessa

Innanzitutto, cerchiamo di capire cosa è una “speculazione” in termini semplici: è un’indagine di studio avente lo scopo di deformare a proprio favore l’obiettività dei fatti e, molto spesso, a gettare discredito sugli avversari che la pensano diversamente.

Da qualche mese nutro un particolare interesse per i Rotoli del Mar Morto, e durante i miei approfondimenti su questa materia non poche sono quelle informazioni che mi aiutano ad avere maggior chiarezza storica sulle pagine della Bibbia, in modo particolare del Nuovo Testamento (NT). Il NT, come anche l’Antico, è “cristocentrico”, e se vogliamo dirlo in termini più ebraici, “messiacentrico”.

L’AT è pieno zeppo di profezie messianiche, ma non solo di profezie; alcune storie della Genesi hanno dei caratteri straordinari che sembrano quasi la storia biografica del Messia Yeshua. Come se con largo anticipo i redattori biblici originali, divinamente ispirati, ci hanno trasmesso delle storie con caratteri profetici su Yeshua: a partire da un personaggio come Isacco e la sua famosa legatura, fino allo straordinario Giuseppe figlio di Giacobbe, asceso al potere d’Egitto dopo 10 anni di servitù. Due personaggi che, secondo me, sono i più messianici di tutta la Scrittura (senza considerare Mosè).

Ed è in questo ambito cristologico che entra in gioco la teologia speculativa, la quale si impunta a trovare ogni tipologia di occasione per dimostrare che tutta la Bibbia punta i suoi riflettori su Yeshua anche là dove ci sono palesi errori di scrittura. E’ vero, la Bibbia in fondo parla di Yeshua (e molto spesso anche in codice) come anche lui stesso ha affermato: «infatti, se credeste a Moshèh, credereste anche a me; poiché egli ha scritto di me» (Gv 5:46). Tuttavia, è davvero necessario forzare il contenuto di antichi manoscritti per ricavare prove cristologiche anche là dove ci sono palesi errori dei copisti?

Impariamo a leggere la sigla di un frammento di Qumran

A Qumran sono stati rinvenuti circa 900 manoscritti, tra pergamene e frammenti, scritti in Ebraico, Aramaico e Greco. Tra questi manoscritti troviamo documenti di vario tipo: testi biblici, commentari, apocrifi, apocalittici, sapienziali, inni – senza considerare i documenti di affari interni della setta Essena che ha prodotto questi scritti (regole, leggi, istruzioni, pianificazioni, inventari, archivi, ecc.). Essendo in gran numero e scoperti in diverse grotte nel deserto della Giudea nei pressi del Mar Morto, tutti i frammenti, dal più minuscolo alla pergamena più grande, sono stati identificati e siglati dagli esperti come nell’esempio di cui sotto:

4Q Deut-j

Come si legge questa sigla?

  • Il numero 4 indica il numero della grotta dove è avvenuta la scoperta;
  • “Q” sta per Qumran;
  • “Deut” indica il libro a cui fa riferimento il frammento, in questo caso il Deuteronomio;
  • “j” indica la progressione dei vari frammenti che riportano lo stesso contenuto. Nell’alfabeto inglese, la “j” è la decima lettera, ciò significa che la sigla “j” indica la decima copia di una serie di doppioni che riportano lo stesso contenuto del 4Q Deut-a, il primo della serie di doppioni.

Adesso che abbiamo capito in modo semplice come si legge la sigla di un frammento o manoscritto di Qumran,  ve ne indico per testare la vostra attenzione: siete in grado di decifrarlo da soli? Non sbirciate la soluzione!

4Q Gen-h (title)

Vediamo se avete indovinato:

  • 4 = numero della grotta
  • Q = Qumran
  • Gen = Genesi
  • h = ottava copia di una serie di doppioni

Bene, avete indovinato!

Stavolta, però, abbiamo una nuova dicitura inglese fra parentesi: (title). Tale dicitura indica che il frammento in questione riporta solamente il “titolo” del libro biblico in questione. Vi riporto di seguito il frammento di cui stiamo parlando, attraverso una fotografia in contrasto del bianco e nero:

4Q Gen-h (title). Fonte: www.deadseascrolls.com
4Q Gen-h (title). Fonte: www.deadseascrolls.com

Da notare che questo frammento riporta una parola che risulta poco leggibile, qualche macchia di inchiostro, ma quanto basta da poter individuare almeno quattro lettere (da destra verso sinistra):

  • ב (bet). La lettera bet, nella parte inferiore, è bucata per via di un foro nella pergamena.
  • ר (resh)
  • ש (shin)
  • י (yad)

Al lato sinistro della yad abbiamo un triangolino di pergamena mancante, e tale foro occupa in gran parte lo spazio di quella che deve essere una ת (taw). Poiché il frammento in questione è stato rinvenuto insieme ad altri frammenti più grandi che riportano il testo di Genesi 1, bereshit in ebraico (vedi foto in basso),  allora la taw è certa dato che le lettere di cui sopra formano la parola ברשית (brshyt, si legga brscit), ovvero la prima parola della Genesi e anche il nome del libro biblico: בראשית (br’shyt): GENESI.

In alto a destra, il frammento 4Q Gen-h (title)
In alto a destra, il frammento 4Q Gen-h (title)

L’immagine di cui sopra mostra la ricostruzione del manoscritto da parte degli epigrafisti. Molti frammenti hanno mantenuto frastagliature definite, per cui come per la serie di frammenti più grandi non è stato troppo complicato rimetterli insieme.

Dio ci parla anche attraverso gli errori di copiatura?

Arriviamo al punto. Secondo l’opinione comune dei più accreditati teologi ed accademici, vanno intesi come “testi divinamente ispirati” solo i manoscritti originali della Bibbia che, purtroppo, sono andati perduti. I codici di cui disponiamo sono soltanto copie di copie successive i quali, inevitabilmente, sono andati incontro ad errori di copiatura dove in alcune parti ci sono veri e propri pezzi di testo mancanti od omissioni involontarie, emendamenti e interpolazioni. Insomma, ad oggi non è stato ancora scoperto il manoscritto originale della Torah redatto da Mosè in persona, né esistono manoscritti biblici “originali” risalenti all’epoca dell’esilio babilonese (Esdra, Nehemia), epoca in cui la Torah pare abbia raggiunto il suo ultimo e definitivo stadio redazionale (insieme a tutti gli altri libri dell’AT). I manoscritti del Mar Morto risalgono dal II secolo a.C. al I secolo d.C., mentre, i manoscritti biblici più antichi di cui disponiamo sono quelli della Septuaginta o Settanta, la traduzione greca della Bibbia ebraica realizzata in Alessandria d’Egitto a cavallo tra il III e il II secolo a.C. da parte di scribi ebrei della diaspora che paradossalmente pare non avessero avuto una grande padronanza della lingua ebraica (sic!). Solo che anche della Septuaginta non abbiamo gli originali, ma solo copie successive.

Il lettore attento noterà che la parola בראשית (br’shyt) del frammento 4Q Gen-h (title) ha subìto un errore di scrittura: manca la א (alef): ברשית

בראשית (corretto)

ברשית (errato)

Il prof. Ronald S. Hendel, accademico ed esperto di critica testuale e linguistica (e non solo), nella prefazione del suo libro The Text of Genesis 1-11 – Textual Studies and Critical Edition, spiega la motivazione di questo errore:

«Tale errore, motivato dalla quiescenza fonetica dell’alef nel discorso di questo periodo, è abbastanza comune nei Rotoli di Qumran (Qimron 1986: 25-26; cfr. diversi casi della rivisitazione di Genesi 1 in 4Q Jub-a; DJD 13, 13-14). Questa prima prova del titolo ebraico di Genesi fornisce un esempio lampante delle vicissitudini dei testi antichi ed è un appropriato promemoria della semplice necessità di una critica testuale della Bibbia ebraica»

Insomma, il prof. Hendel ci dice che l’assenza di questa lettera è un errore scribale comune «motivato dalla quiescenza fonetica della alef». Ma che significa «quiescenza»?

In linguistica, in modo particolare nell’ebraico, una lettera quiescente è quella lettera che viene pronunciata solo se accompagnata da una vocale. La lettera alef ha la particolarità di essere muta, non prevede un suono, nessuna pronuncia, quindi rimane di fatto una lettera silenziosa se non è associata ad un suono vocalico A, E, I. O, U. Poiché la consonante alef è muta, durante la stesura del manoscritto lo scriba Esseno deve averla omessa per errore perché essendo muta, appunto, permette alla parola scritta correttamente בראשית (bereshit, in principio) di essere letta allo stesso modo anche nella sua versione scorretta come riportata nel frammento.

Attraverso il sistema delle vocali introdotto in forma scritta secoli dopo dai Masoreti (l’Ebraico si scriveva senza le vocali), abbiamo una dimostrazione più chiara di come si pronuncia la parola בראשית e dove sono posizionate le vocali.

בְּרֵאשִׁית

Qui sopra notiamo in rosso l’alef di bereshit che sia sotto che sopra è priva di una vocale (puntini o trattini), a differenza della betresh shin che ce l’hanno. La yad è matres lectionis della shin, perciò allunga la vocale Hireq e si legge con il suono “i”. La taw non è una lettera quiescente perché con o senza una vocale ha sempre un suono (la “T”).

Poiché alef è una lettera quiescente, quando non ha una vocale è come se non fosse neanche scritta (come per la shevà muta, che è scritta ma non si legge) perché non ha alcuna pronuncia. L’alef ha la particolarità di assorbire il suono della vocale annessa e, come direbbe la scrittrice Elena Loewenthal, è «la voce del respiro prima di ogni parola».

Speculazione cristologica

Ritornando alla parola errata del frammento 4Q priva dell’alefברשית, se la prendiamo così com’è, possiamo suddividerla in altre due parole che all’apparenza ci riservano una bella sorpresa, una sorpresa sicuramente per coloro che si lasciano facilmente influenzare dal sensazionalismo di cose prima ignote e adesso palesi:

בר  שית

Queste due parole suonano in questo modo: BAR (בר) e SHYT (שית) o SHAYT. In Aramaico BAR significa «figlio», mentre SHYT in Ebraico indica il concetto di base di fare qualcosa non nel senso di creare, formare o costruire, ma nel senso di «fissare, stabilire, costituire» (BDB #7896, p.1011). Inoltre, SHYT è una parola ebraica, non aramaica.

La teologia alternativa tira un po’ troppo la corda della speculazione cristologica sostenendo che la parola BAR-SHYT del frammento sia tutta aramaica, e che la seconda parola SHYT significhi «creare» o «porre in essere», forse giocando con le definizioni dei dizionari di ebraico-inglese usati in modo scorretto, i quali riportano la definizione di make, «fare», e da qui si arriva al concetto di creare mediante un sapiente uso dello slittamento semantico. Questa forzatura conferisce alle due parole BAR-SHYT il significato di «[il] Figlio crea» come allusione a Giovanni 1:1 e segg., quindi a Yeshua! Ma è necessario forzare degli errori di copiatura per dimostrare che la Bibbia parla di Yeshua?

C’è qualcosa che non va, in quanto non esistono casi biblici in cui una parola sia scomponibile in altre due parole di lingue diverse, sebbene condividano lo stesso alfabeto: l’Ebraico e l’Aramaico!  Casi come il libro di Daniele, Esdra, Nehemia e forse anche Genesi, Numeri, Giobbe e Geremia, riportano piccole porzioni in Aramaico. Ma mai troviamo una parola scomponibile in due lingue diverse dalla quale ricavare presunti messaggi criptati in chiave cristologica.

Sì, è vero, in assenza dell’alef la parola può leggersi senz’altro BAR-SHYT con il suo significato più appropriato di «il figlio stabilisce» piuttosto che il forzato «il figlio pone in essere/crea», ammesso che lo scriba Esseno l’abbia voluto scrivere intenzionalmente. Tuttavia non è da prendere come dato empirico neanche la traduzione corretta, in quanto il prof. Hendel ci ha spiegato senza raggiri di parole che l’assenza dell’alef nella parola bereshit è un errore comune riscontrabile in vari Manoscritti del Mar Morto. Di conseguenza, trattandosi di un comune errore scribale, non è possibile che l’ispirazione divina abbia permesso a un semplice copista di commettere un errore di copiatura, e questo per motivazione a mio avviso bibliche.

La Scrittura masoretica (che tra l’altro non è esente da errori), codice principale dal quale ricaviamo le traduzioni ufficiali dell’AT, ammonisce severamente «la penna bugiarda degli scribi» (Geremia 8:8). Dio non parla per mezzo di errori o di scribi bugiardi, a maggior ragione non ispira le Sue “penne umane” a commettere errori. Dio non induce nell’errore, così come Dio non tenta nessuno! Ma si serve della tentazione affinché possiamo sconfiggerla. Gli errori sussistono perché gli agiografi erano pur sempre esseri umani capaci di intendere e volere, che non sono diventati improvvisamente degli impeccabili letterati.

Gli stessi Ebrei sono sempre stati scrupolosi nel ricopiare fedelmente i manoscritti delle Scritture, e ogni volta che commettevano un errore, il manoscritto non lo buttavano via ma lo mettevano da parte per riutilizzarlo per scopi non liturgici né sacri, ma didattici. Gli errori di copiatura sono comuni e diffusissimi nella trasmissione di testi antichi come quelli di Qumran, i quali hanno percorso un arco temporale di stesura di circa 300 anni, che non è poco.

Oltretutto, la parola aramaica corrispondente a bereshit (in principio) non è ברשית (br-shyt), dato che non è una frase interamente aramaica ma mista, bensì בקדמין (beqadmiyn) come fa il  Targum Onkelos (traduzione aramaica della Torah), che letteralmente significa «nei tempi antichi» (BDB #6924, p.869).

Prova testuale dalla Settanta?

La teologia speculativa afferma inoltre che persino la Settanta (LXX) è in grado di dimostrare la possibilità di leggere bar-shyt così come riportato in 4Q Gen-h (title), dimostrando indirettamente che Hendel si sbaglia. A sostegno di questo viene preso in esame l’apparato critico della Biblia Hebraica Stuttagrtensia – BHS (vedi foto in alto) su Genesi 1:1 alla parola בראשית.

Nella prima riga della nota “a” vengono riportate due parole per una possibile doppia rilettura di bereshit in caratteri greci:  «Cp 1,1 a Orig Βρησιθ vel Βαρησηθ (-σεθ)». Queste due parole suonano rispettivamente brisith bariseth. La seconda è quella che porta la sillaba bar come in 4Q Gen-h (title) e questo sembra confermarla. Tuttavia, sono due proposte di lettura traslitterata non proveniente dalla LXX ma da Origene.

Nella sua Prima Omelia sul Genesi, Origene ci regala un midrash su Genesi 1:1:

1. «In principio Dio fece il cielo e la terra. Qual è il principio di tutte le cose, se non il nostro Signore e salvatore di tutti, Cristo Gesù, il primogenito di tutta la creazione? In questo principio, cioè nel suo Verbo, Dio fece il cielo e la terra, come dice anche l’evangelista Giovanni all’inizio del suo Vangelo […]»

Origene, che usava la LXX, non conferma che le parole «in principio» (bereshit o bar-shyt) significhino «il Figlio crea» per come viene fatto emerge dai teologi dall’errore di scrittura del frammento, poiché il suo è solo un sermone sull’identità del “primogenito della creazione” nel senso di come lo spiega Giovanni 1:1 nel suo midrash su Genesi 1:1. Inoltre, la LXX non esordisce nemmeno con le parole greche di cui al punto “a” dell’apparato critico della BHS, ma con le parole ᾿Εν ἀρχῇ (en arché) e cioè «nel principio» (come fa Gv 1:1), non brisith bariseth.

Nella terza riga, alla nota “b”, si riporta invece la sigla della LXX più la continuazione del racconto di Genesi con la porzione dove si parla della raccolta delle acque: και συνηχθη το υδωρ … (e l’acqua fu raccolta…), ecc. Insomma, secondo l’apparato critico, la LXX non dimostra alcuna lettura legittima che confermi il testo del frammento; se mai è Origene ad occuparsi di queste parole, sicuramente non per confermare l’errore di scrittura “divinamente ispirato” dello scriba esseno. I due casi proposti sono fenomeni letterari noti come “ebraismi” o “semitismi”, presenti anche nel NT, i quali consistono nel traslitterare in lettere greche parole ebraiche o aramaiche, come nei casi di Mt 27:46; Gv 5:2; 19:13,17; 20:16; Ap 9:11; 16:16.

Ancora una volta, il tentativo della teologia speculativa di portare acqua al proprio mulino, crolla da solo.

Conclusione

Ricordiamo che il frammento oggetto della nostra analisi riporta solo il TITOLO del libro che lo scriba ha ricopiato. Si tratta di un titolo non della prima parola che inizia il racconto di Genesi 1:1. Per cui, se si tratta di un errore bisogna prenderne atto, se invece lo scriba l’ha fatto di proposito vuol dire che avrà ritenuto opportuno accorciare la parola del titolo (senza tuttavia toccare il testo della narrazione biblica in sé) non per motivi teologici sul “Figlio che crea”, perché gli Esseni non contemplavano l’idea che il Figlio di Dio, cristianamente inteso, possa aver preso parte alla Creazione del mondo.

La teologia speculativa che accetta l’idea che Dio può parlare anche attraverso gli errori di copiatura, afferma anche che solo gli atei (in senso dispregiativo) possono negare questa evidenza. I credenti invece dovrebbero notarlo subito. in quanto gli studiosi non credenti non riescono a vedere oltre, limitandosi al semplice e banale errore di scrittura e all’analisi accademica, e quindi non gli è dato di comprendere che Dio ha fatto sbagliare lo scriba Esseno appositamente per fargli scrivere il Figlio crea.

Ma dal punto di vista biblico è possibile avere conferma che un credente possa maturare idee simili? Dunque, vi parlo da studioso e allo stesso tempo da credente. Da credente dovrei vedere quello che gli studiosi non credenti non riescono a notare, eppure da credente non vedo quello che la teologia speculativa sostiene di vedere. Ma non siamo entrambi credenti? A questo punto la teologia speculativa direbbe che ci sono credenti che ci vedono (loro) e credenti ciechi (io).

Quindi, ci sono passaggi nella Scrittura che possono provare che Dio parla anche attraverso gli errori di scrittura? Chi ha deciso o dove è scritto che Dio intende dirci qualcosa anche attraverso errori di copiatura dei testi sacri? Finché non si danno prove è solo speculazione. Qualcuno potrebbe obiettare dicendo il contrario: chi ha deciso o dove è scritto che Dio invece non può parlarci anche attraverso errori di copiatura? Naturalmente Dio può tutto, ma deve pur renderci partecipi del Suo modo di comunicare con noi, quindi solo al Scrittura può darci la risposta e qualche paragrafo sopra è stato dimostrato.

Ebbene, la Scrittura dice effettivamente qualcosa contro gli scribi bugiardi e contro coloro che manomettono le Scritture aggiungendo o togliendo qualcosa da essa. Lo dice la Torah, i Profeti e anche l’Apocalisse! Dalla Scrittura non bisogna aggiungere né togliere nulla, sia esso un comandamento che una lettera, sia intenzionalmente che per errore. Yeshua ha affermato l’incrollabilità della Torah (e per estensione di tutta la Scrittura) persino nella sua parte più piccola (iota o apice/accento), e quindi nessuna lettera della Torah dev’essere tolta dal suo posto finché non passeranno i cieli e la terra.

Sarebbe una bella testimonianza se gli Esseni ci avessero trasmesso anche inconsapevolmente un così bel messaggio divinamente ispirato come “il Figlio crea” proprio nella prima parola della Bibbia; finché si tratta di parole scritte correttamente allora qualcosa possiamo ricavarcela. Da un albero buono ricavi solo frutti buoni e non cattivi, così come da un albero cattivo non ricavi frutti buoni. A maggior ragione da parole scritte correttamente ci ricavi la giusta informazione, ma da parole scritte scorrettamente ci ricavi informazioni errate! Il qal vachomer non si smentisce mai!

Se si tratta di parole scritte in modo scorretto, allora stiamo discutendo solo su una speculazione atta a forzare il contenuto di un manoscritto biblico che riporta parole errate, e quindi ritenute “scartoffie da scrivania” dagli antichi Ebrei e non “testo sacro”.

Infine, amo terminare una mia discussione in questo modo: posso pur sempre sbagliarmi su tutto, perciò se è il caso sarei ben felice che qualcuno mi dimostri il contrario di quanto ho spiegato perché sono aperto al dialogo e alla possibilità di cambiare idea. Non intendo veicolare l’errore a mio vantaggio, ma desidero che sia la verità a trasportare me per il suo vantaggio.

Fonte: https://torah-project-italia.webnode.it/l/bereshit-e-le-speculazioni-cristologiche/

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