Archeologia: nuove evidenze sulla redazione biblica

Le lettere incise su ceramica, note come Ostracons, che sono stati rinvenuti in uno scavo di un forte in Arad, Israele, e databili a circa il 600 a.C., poco prima della distruzione Gerusalemme avvenuta per mano di Nabucodonosor. Credit Michael Cordonsky/Israel Antiquities Authority
Le lettere incise su ceramica, note come Ostracons, che sono stati rinvenuti in uno scavo di un forte in Arad, Israele, e databili al 600 a.C. circa, poco prima della distruzione Gerusalemme avvenuta per mano di Nabucodonosor. Credit Michael Cordonsky/Israel Antiquities Authority

The New York Times

Sul portale web del più famoso quotidiano del mondo, The New York Times (qui l’articolo in inglese), si riporta un articolo circa un’interessante scoperta archeologica rinvenuta nei pressi del Mar Morto. La scoperta interessa il ritrovamento di alcuni testi frammentari scritti con inchiostro su ceramica, risalenti al periodo babilonese (600-200 a.C.) in cui, da questi ultimi, riemerge un’antica “lista della spesa” dell’epoca. Diciamo che è stato scoperto un pezzo di vita quotidiana dell’antichità precedente al tempo dei Figli della Luce (autori dei Manoscritti del Maro Morto).

L’aticolo, oltre che a mettere in evidenza il tasso di alfabetizzazione presso le strutture militari, vale a dire che anche i soldati di basso grado iniziavano a saper leggere e scrivere commettendo pochi errori, si dice anche che la datazione di questi reperti coincide con il periodo in cui la letteratura biblica ha iniziato a prendere forma. Si aggiunge, infatti, che l’area di sviluppo della letteratura biblica (l’Antico Testamento) è Babilonia e non a caso il Sacerdote e Scriba Esdra era un babilonese che la stessa Scrittura ribadisce per ben quattro volte essere «[…] uno scriba esperto nella Legge di Mosè, data da Yehwàh, Elohìm di Israele» (Esd 7:6,10-12)

Da questi reperti si può risalire anche allo stile calligrafico dell’epoca, quindi grossomodo potremmo immaginare quale tipo di calligrafia avesse potuto adottare Esdra per redigere il Tanack, calligrafia che i Settanta(due) hanno sicuramente avuto il privilegio di ammirare coi loro occhi durante la fase di traduzione in greco dell’Antico Testamento. Poi c’è anche da considerare il fatto circa Esdra se abbia effettivamente redatto il Tanack in ebraico oppure in babilonese!

Origini dell’Ebraico

Da qualche anno mi sto battendo per dimostrare che la scrittura ebraica si è sviluppata solo dopo il periodo Mosaico. Nel senso che, come dico sempre, l’Ebraico non esisteva al tempo di Mosè (ca. 1450 a.C.) e quindi, di conseguenza, Mosè che era un ebreo (di etnia) venne adottato dagli Egiziani e naturalmente «istruito in tutta la sapienza degli Egiziani edivenendo potente in parole e opere», come ci puntualizza l’autore al libro degli Atti 7:22. L’istruzione ricevuta da Mosè non era parziale o superficiale, ma si sta parlando di «tutta la sapienza degli Egiziani», ovvero usi e costumi, arti occulte e paganesimo, nonché anche la lingua e la scrittura egizia.

Diversamente da come sostengo io, sia l’Enciclopedia Treccani che il testo Storia della lingua ebraica di Angel Saenz-Badillo ed. Paideia, solo per citarne un paio, datano lo sviluppo dell’ebraico intorno alla metà del II millennio a.C., quindi stiamo parlando del periodo Patriarcale (2500 a.C.) e periodo in cui la fiorente città sumerica di Ebla era nel suo pieno sviluppo sociale e commerciale. In sostanza, l’Ebraico proposto dalla Treccani e dal testo di Badillo si sarebbe sviluppato, paradossalmente, prima ancora che si sviluppasse quella lingua da cui l’Ebraico e il Greco Arcaico traggono origine, il Fenicio.

Treccani [pagina]: «L’ebraico appartiene al gruppo nord-occidentale delle lingue semitiche e presenta spiccata affinità col fenicio, col moabitico e, già nella seconda metà del 2° millennio a.C., con la lingue delle glosse Tell al-‘Amarna; l’alfabeto usato è di tipo fenicio, mentre la scrittura cosiddetta ‘quadrata” è molto più tarda»; tuttavia, poco prima la suddetta Enclopedia dice: «Il nome Ebrei, di origine incerta, entrò nell’uso comune attraverso la letteratura dell’età ellenistica per designare quel gruppo di tribù del Vicino Oriente antico apparse nella seconda metà del II millennio a.C. in Palestina, costituitesi quindi in unità politica e religiosa. Il gruppo settentrionale chiamava sé stesso «figli d’Israele», da cui derivò il nome Israeliti; dopo la distruzione del regno del Nord nel 721, divenne usuale il nome Yĕhūdīm, Giudaiti (dal nome del superstite regno meridionale di Giuda), da cui deriva quello di Giudei».

Probabilmente, gli autori del testo di cui sopra attribuiscono la lingua ebraica al popolo di nome “Ebrei” solo per una questione di “assonanza”. Un po’ come dire che Adamo parlasse l’Adamitico ed Enoch l’Enochiano. Ovvero, la lingua adottata da “quel” gruppo specifico di persone. L'”ebraico” di Ever (da cui Ivrì, Ebrei) non è lo stesso “ebraico” che si è sviluppato dal Fenicio dopo il X sec. a.C., quindi dire che Mosè parlasse “ebraico” è un’affermazione che può essere sia vera che falsa: vera perché possiamo considerare l’ebraico del tempo mosaico come quella lingua che potrei inventarmi in questo momento e chiamarla lingua “Salamonica” che i miei discendenti futuri continuerebbero a parlare finché non diventa lingua morta, cioè non più in uso. Quindi è errato attribuire a Mosè un linguaggio ebraico come quello biblico, anche perché, essendo istruito in tutta la sapienza degli Egiziani, egli parlava e scriveva solo egiziano. Oltretutto, gli Egiziani consideravano gli ebrei come “popolo-feccia” e così come non si sognavano di consumare un pasto insieme agli schiavi, non si sognavano nemmeno di imparare la lingua degli schiavi. Mi risulta anche strano che Mosè trovasse il tempo di studiare la lingua ebraica durante il vagabondaggio nei deserti. Purtroppo non sono pochi coloro che “idolatrizzano” la lingua, cioè sempre e solo “ebraico” anche quando non c’entra, e questi arrivano a dire pure che Dio stesso “ha una lingua” senza la quale non potrebbe rivelarsi agli uomini. Punti di visa.

Dal patriarca Ever si passa poi ad Avraham (Abrahamo), nome che oltretutto contiene la stessa radice del nome Ever, solamente con una diversa vocalizzazione. Bisogna quindi considerare bene cosa s’intende per “ebraico”, perché al tempo di Avraham l’ebraico vero e proprio non esisteva. Sebbene Avraham fosse di etnia ebraica, il suo paese di origine fu Ur del Kaseddìm (Caldei), ovvero nel pieno centro della civiltà Sumera. Quindi, risalendo all’epoca a cavallo fra il III e il II millennio a.C., a Ur dei Caldei si parlava il Sumero e si scriveva Cuneiforme!  Resta da chiedersi in che lingua abbiano parlato Avraham e il Faraone quando si sono incontrati per la prima volta (Gn 12). Probabilmente, per venirsi in contro, parlarono il Proto-Canaaneo.

Angel Saenz-Badillo: «L’ebraico è un dialetto o lingua semitica che si sviluppò nella parte nord-occidentale del Vicino Oriente, tra il fiume Giornado e il Mare Mediterraneo, durante la seconda metà del II millennio a.C. La regione che comprendeva quest’area conosciuta come Canaan, nome che è anche associato con la lingua nelle sue fonti scritte più antiche (sepat kena’an) ‘la lingua di Canaan’ (Isaia 19,18). Altrove la lingua è chiamata (yehudit) ‘di Giuda, giudaita’ (2 Re 18,26.28 ecc.)».

Mi permetto di dire che il testo di Badillo, sebbene autorevole, può trarre in inganno il lettore distratto, in quanto i passi biblici citati di Isaia e di 2Re non si vogliono riferire alle lingue parlate all’epoca della metà del II millennio a.C., ma all’epoca in cui sono stati redatti questi due libri dai rispettivi autori (che poi Esdra ha raccolto e ricopiato al suo tempo); per cui l’equivoco è evidente se si legge ad occhi aperti. Il secondo libro dei Re viene fatto risalire al VI sec. a.C., mentre quello di Isaia è più vecchio di due secoli, VIII sec. a.C., proprio lo stesso periodo in cui dal Fenicio si sviluppa l’ebraico che successivamente diventerà quello biblico.

Il testo di Badillo continua dicendo che «all’interno del gruppo cananaico, e assai prossimi all’ebraico in termini geografici e per caratteristiche linguistiche, si situano a partire dagli inizi del I millennio a.C. il fenicio nella parte centrale della regione, e l’ammonitico, l’edomitico e il moabitico in quella meridionale e orientale. Il fenicio (o fenicio-punico) è attestato epigraficamente in migliaia di iscrizioni a partide dal X sec. a.C. e fino al V d.C. […]». Quindi si afferma che il fenicio si è sviluppato 1500 anni dopo l’ebraico e non al contrario come si vuole sostenere in questo mio intervento.

Davvero strano che i dizionari etimologici di ebraico facciano risalire l’origine di alcune parole ebraiche proprio dal Fenicio, ovvero quella lingua che sarebbe nata dopo! Come è possibile che determinate terminologie abbiano tratto origine da una lingua che doveva ancora svilupparsi? Di questo ne ho ampiamente parlato nel mio ultimo libro La Bibbia non è un Mito, circa le vere origini del termine ebraico Gan (Frutteto/Giardino) che non trae assolutamente origina dall’iranico Pairidaeza come alcuni sostengono.

La più antica iscrizione ebraica

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Sarebbero le prime scritte in lingua ebraica finora conosciute nonchè una prova dell’esistenza del regno di Israele. Il frammento di ceramica presenta cinque linee di testo in lingua proto-cananea, usata da Ebrei, Filistei e altri popolazioni della regione. L’iscrizione venne velocemente datata, ma il suo linguaggio è rimasto incerto fino a quando il professore Gershon Galil, dell’Università di Haifa, non ha dimostrato che è un’antica forma di ebraico – contenente radici tipiche dell’ebraico ma non delle altre lingue semitiche.

Nell’immagine a destra si può vedere quel reperto che contiene la più antica inscrizione in “ebraico” antico finora ritrovata, risalente al 1000 a.C. La scoperta è del 2009 avvenuta a Khirbet Qeiyafa – località in cui secondo la Bibbia avvenne lo scontro fra David e Goliath. Assai naturale è considerare che se avessimo reperti ben più antichi di questo frammento, allora dovremmo rivalutare il tutto e pensare che l’Ebraico si fosse effettivamente sviluppato in un periodo ancora precedente anche a quello di Mosè; anche se allo stato attuale non sono state rinvenute inscrizioni più antiche in Ebraico, per cui non escludendo l’ipotesi di una probabile origine più antica, rimango dell’idea che secondo il materiale di cui si dispone oggi, l’Ebraico non si è sviluppato né prima né durante i centovent’anni vissuti da Mosè, ma solo poco più di mezzo millennio dopo la sua morte (per maggiori approfondimenti leggere questo articolo).

Conclusione

Ritornando all’articolo del The New York Times, aggiungo che l’alfabetizzazione di cui si parla era “in fase di…” diffusione, vale a dire non tanto l’istruzione che arrivava anche presso dei soldati semplici che prima di allora erano analfabeti, ma l’ampia diffusione di una scrittura da poco nata. Quindi se sostengo che l’ebraico al tempo di Mosè non esisteva e che si è sviluppato solo nell’800 a.C. circa, non credo di sbagliare, perché autorevoli testi come la Treccani e il testo Badillo sopra citati dovrebbero più che altro dimostare con delle prove archeologiche, quindi con testi e reperti, che l’Ebraico si sia sviluppato verso la metà del II millennio a.C., mostrando iscrizioni ebraiche risalenti a quel lontano periodo. Qui si è dimostrata l’esistenza id un un reperto risalente al I millennio.

Infine ringrazio l’amico e fratello nella ricerca Marco Rocchi per avermi segnalato l’articolo del The New York Times, e l’amica e sorella nella fede e nella ricerca Rossana Zanetti Sciuto per il materiale fornitomi del testo di Badillo.

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