Le visioni divine di Ezechiele secondo Mauro Biglino

Introduzione alle visioni divine di Ezechiele

In questo articolo esploreremo la questione dell’interpretazione del libro del profeta Ezechiele, in particolare riguardo al modo in cui il profeta si esprime nel suo libro. Ci concentreremo sull’uso del termine Elohim e dell’espressione mar’òt elohìm, che tradizionalmente vengono tradotte come visioni divine di Ezechiele o “divinità”. Esamineremo le argomentazioni di Mauro Biglino e le critiche che gli vengono mosse, offrendo una prospettiva più ampia e completa sull’argomento.


La questione del termine Elohim e dell’espressione mar’ot elohim

Occuparsi di esegesi biblica non è un gioco né un passatempo con cui divertirsi con gli amici. Si tratta di un’arte che richiede impegno, anni di studio, serietà, onestà intellettuale e spirito di sacrificio.

In Ezechiele 1, il profeta afferma di trovarsi presso il fiume Kevar durante il suo esilio, quando improvvisamente si aprirono i cieli e vide visioni divine. Il testo ebraico letteralmente recita niftechu ha-sshamaim va-er’eh mar’ot elohim.

Analisi di Mauro Biglino e le sue critiche

Prima di proporre la mia analisi, riporto testualmente ciò che Mauro Biglino dice riguardo al testo biblico:

«Iniziamo subito col rimarcare che le normali traduzioni sintetizzano spesso questa affermazione con la generica espressione “visione divina”.
Ben diverso è invece il significato espresso dal profeta, che dice di aver visto gli Elohim dopo che i cieli si sono aperti: si tratta infatti di una visione vera e propria, cioè il concreto atto del vedere una pluralità di soggetti e oggetti realmente presenti. E’ necessaria a questo punto una precisazione utile a comprendere il significato reale di un termine che, in ambito religioso, ha assunto tradizionalmente una valenza che qui è chiaramente fuorviante. Quando parliamo di “visione” noi siamo immediatamente indotti a pensare a quel fenomeno che porta a percepire quasi fisicamente delle realtà considerate soprannaturali. Il termine ebraico מארה (mare) indica invece l’atto concreto del vedere un qualcosa di reale, anzi con maggiore precisione, possiamo dire che indica proprio ciò che viene osservato: oggetto, persona presente, situazione, scena, evento, fenomeno.
Quindi Ezechiele ci dice di avere concretamente visto eventi in cui sono presenti, anzi, di cui sono attori principali, gli Elohim con le loro strutture volanti, e sono proprio queste ultime in particolare a colpire l’autore del testo»[1]

Il significato simbolico della visione di Ezechiele

Al momento non mi interessa dedicare tempo alle solite speculazioni riguardo alle famose “strutture volanti” che vede solo chi indossa gli stessi occhiali sporchi di Biglino.

Con “visione divina”, Biglino si riferisce all’espressione ebraica mar’ot elohim, che ho tradotto sopra come «visioni di elohim». Andiamo per ordine:

  • «Visione divina». Sì, solitamente le traduzioni ufficiali rendono l’espressione ebraica come «visioni divine».
  • Ezechiele «dice di aver visto gli Elohim». Quest’affermazione è più fuorviante di quanto lo scrittore torinese sostenga essere fuorviante la traduzione ufficiale «visioni divine», per le motivazioni che spiegherò in seguito.
  • «Concreto atto del vedere una pluralità di soggetti». Sì, Ezechiele vede una pluralità di cose, ma fra queste cose non è inclusa la parola elohim che in realtà ha una valenza lessicale ben diversa da quella che solitamente gli si attribuisce.
  • «Il significato reale di un termine». Quando Mauro Biglino parla di «significato reale di un termine», bisogna prestare attenzione, poiché è noto che nemmeno lui ha familiarità con i “significati reali” dei termini che traduce. Molto spesso egli si avvale della facoltà di tradurre un termine con un altro, con il suo famoso metodo dei dizionari rotanti [2] e dello slittamento semantico. [3]
  • «L’atto concreto del vedere qualcosa di reale». Si può dire che la visione di Ezechiele sia stata reale, ovvero Ezechiele ha effettivamente avuto una visione; bisogna tuttavia verificare se il simbolismo di cui è composta tale visione sia riscontrabile nel mondo reale. Purtroppo Mauro Biglino ignora completamente la cosmologia biblica e tutta la sua simbologia. [4]

Il significato di Elohìm

In molti articoli e nei miei libri, ho ampiamente spiegato il significato (o meglio, i significati) del termine Elohom, per cui non mi dilungherò ulteriormente in questo momento. Dal punto di vista grammaticale, il termine Elohim può essere utilizzato dall’autore biblico per enfatizzare una determinata circostanza. Ad esempio, prendiamo il caso biblico della lotta/competizione tra Rachele e Lea. Mentre Rachele era sterile, Lea era invece feconda. Rachele, vedendo che Lea generava figli, cercò in ogni modo di avere figli finché anche lei non ne ebbe. Rachele considerò questa “gara a chi fa più figli” come una vera e propria lotta. Ecco cosa dice testualmente: va-ttomer Rachel: naftule elohim niftalti im-achoti gam-yakolti.

Il senso è questo: «E Rachele disse: “Ho combattuto i combattimenti di Dio con mia sorella, vincendo pure!» (Gn 30:8, la traduzione è mia).

In questa traduzione, che ho utilizzato nel Vol.2 del mio Commento alla Genesi, ho reso l’espressione naftule elohim con «combattimenti di Dio». Le versioni ufficiali riportano «lotte straordinarie», traducendo elohim con «straordinarie». Il termine divino viene utilizzato idiomaticamente per sottolineare l’intensità della competizione, per cui la traduzione «lotte straordinarie» è più che valida.

Sembra che anche il profeta Ezechiele si sia espresso con lo stesso linguaggio, vedendo le mar’ot elohim, cioè non necessariamente delle «visioni divine», ma più propriamente delle «visioni straordinarie». Ecco come il termine elohim in questo contesto biblico non si riferisce a “déi” o ad una presunta “pluralità di individui”. L’autore biblico utilizza il sostantivo come intensivo, per enfatizzare la straordinarietà di ciò che il profeta ha vissuto durante la sua esperienza visiva.

Il termine מארה (mareh)

Biglino sostiene che il termine mare, che in realtà va traslitterato come ma’reh, «indichi […] l’atto concreto del vedere qualcosa di reale». Ciò significa che l’esperienza di Ezechiele non è stata un’esperienza onirica o durante un’estasi, ma una vera e propria visione ad occhi aperti. Tuttavia, Biglino si limita a proporre la sua definizione, ma senza fornire alcuna citazione di un dizionario che possa supportare la sua tesi.

Prendendo in esame il lessico Koehler & Baumgartner, al verbo mar’àh vengono indicate 2 voci:

  1. Apparizione, visione: Nu 12:6; 1Sam 3:15 (rivelazione di una parola divina!). Altri brani di riferimento sono Da 10:1,16; Gn 46:2; Ez 8:3; 40:2; 43:3.
  2. Specchio: l’unico testo di riferimento è Es 38:8.

Al verbo mar’eh, seguono invece quattro voci:

  1. Vedere;
  2. Apparenza, comparsa, apparizione;
  3. Fenomeno, apparizione;
  4. Lucentezza, brillantezza.

Come dimostrato dalle quattro voci di cui sopra, seguono diversi riferimenti biblici, ma non li ho riportati perché sono molti. [5] Dalle ricerche effettuate, pare che il verbo mar’eh non riguardi solo «l’atto concreto di vedere qualcosa di reale». Cioè, Biglino non dice che ha vari significati, ma sceglie di attribuirne solo uno, quello più in linea alla sua scuola di pensiero.

Probabilmente Biglino dà luogo ad un gioco di parole intenzionale con il quale fuorviare di proposito il senso dell’esperienza di Ezechiele. Egli vive realmente una visione, ma ciò che vede non è letteralmente reale, ma simbolico. Il profeta ha un’esperienza carica di simboli tipici della letteratura profetica apocalittica (come Daniele, Zaccaria, Apocalisse). Ezechiele non vede «gli Elohim» (anche perché come prefisso del termine elohim non è presente nemmeno l’articolo determinativo). Egli esordisce il suo scritto dicendo di essersi imbattuto in un’esperienza onirica/estatica straordinaria, dove vide tutto l’entourage celestiale.

Questo è un altro esempio di come il sostantivo Elohim non significhi solo “Dio”, “déi”, “giudici”, “principi”, ecc., ma è anche un termine che può avere il valore di sostantivo intensivo. Un modo per enfatizzare qualcosa rendendola straordinaria.

Conclusione e note

Per questi motivi, invito i lettori ad approfondire la propria conoscenza sull’argomento, valutando diverse fonti e opinioni, e a non limitarsi ad accettare acriticamente le affermazioni di Biglino o di chiunque altro. In questo modo si potrà avere una comprensione più completa e accurata dei testi biblici e del loro significato.

Note

[1] Cfr. Mauro Biglino & Enrico Baccarini, La caduta degli dei, Uno editori 2017, pp.22-23.

[2] Il metodo dei dizionari rotanti consiste nell’usare arbitrariamente un dizionario per trovare un significato specifico che sostiene la tesi proposta, ignorando gli altri dizionari. Questo metodo è considerato disonesto poiché il dizionario utilizzato viene presentato come “autorevolissimo” per sostenere la tesi, senza considerare gli altri dizionari e la loro opinione.

[3] Lo slittamento semantico è il procedimento in cui il traduttore sceglie un significato specifico per un termine fra i vari significati che circondano quel termine, ignorando il contesto in cui è utilizzato. Nel caso del termine kavòd, Biglino sceglie il significato di “oggetto pesante” ignorando il significato di “importanza” e “autorevolezza” del termine. Ciò porta a tradurre “gloria di Dio” come “oggetto pesante di Dio” in relazione alla teoria degli UFO di Yahwéh. Per approfondire l’argomento si consiglia la consultazione del seguente articolo.

[4] Per una discussione dettagliata riguardo la cosmologia biblica, cfr. D. Salamone, Panoramica dettagliata sulla Cosmologia Biblica: Il cosmo nel Vicino Oriente Antico: visto dagli autori biblici divinamente ispirati, Amazon, 2018.

[5] Per consultare tutte le occorrenze bibliche, cfr. Koehler & Baumgartner (HALOT Lexicon) by BibleWorks10, alla voce #5619.

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