Innestati in Israele: cosa significa «essere cristiani»?

L’Apostolo Paolo descrive i gentili come rami di un ulivo selvatico che sono stati innestati in un albero domestico (Rm 11:17,24). Altrove Paolo li rappresenta come coloro che erano «incirconcisi», «esclusi dalla cittadinanza d’Israele», «estranei ai patti della promessa», «non avendo speranza» ed essendo «lontani» (Ef 2:11-13). La terminologia non poteva essere più chiara per esprimere la misericordia di Dio verso i gentili. Essi erano adoratori di idoli pagani (1Cor 12:2), coloro che, in se stessi e da se stessi, avevano poco da offrire. Al contrario, gli Ebrei avevano un vantaggio: «Prima di tutto perché gli oracoli di Dio furono affidati a loro» (Rm 3:2). Perciò, l’insolito tipo di innesto qui descritto, prendere ciò che è selvatico per natura e unirlo intimamente a qualcosa di scelto e coltivato, sottintende che, ciò che è ritenuto indegno e non ha nulla di che vantarsi, improvvisamente riceve valore da questa nuova connessione. Qui viene illustrata la meraviglia della grazia di Dio verso coloro che si trovano fuori dalla storia di redenzione. I gentili, semplicemente stanno «ritti per la fede» (Rm 11:20) senza pretesa di merito umano o di superiorità, ricevono ora nuova vita e vigore grazie al popolo ebraico perché la salvezza non viene dai gentili ma «dai giudei». Ecco perché è scritto rivolto sempre ai gentili «non insuperbirti»![1]

Ai tempi di Paolo, i gentili erano stati innestati in Israele, in quel misterioso residuo che aveva camminato in amorevole ubbidienza con l’Iddio vivente.

Qual è la differenza fra Cristianesimo ed Ebraismo?

Yeshùa il Messiah, il Figlio di Dio che che è venuto nella carne, venne in primo luogo per ricondurre «le pecore perdute di Israele» (che avevano abbandonato il culto a YHWH) nuovamente al culto di YHWH che avevano abbandonato o comunque dirottato a causa della «tradizione che annulla la Parola di Dio» perpetrata dai corrotti Scribi e Farisei. Yeshùa non è venuto per “convertire gli ebrei al Cristianesimo”, ma per riportare a casa quegli ebrei che avevano abbandonato l’ebraismo e di cui Egli stesso ne è stato un degno osservatore al 100%!
 
I gentili, invece, non sono stati innestati nell’ulivo domestico per passare dal paganesimo al cristianesimo, ma per essere inclusi nel medesimo ebraismo osservato e praticato da Yeshùa e gli Apostoli.
 
Chi oggi si definisce “cristiano” o vuole diventarlo, deve prendere atto che in realtà il Cristianesimo vero non è una religione distaccata dall’Ebraismo praticato e predicato da Paolo o Pietro, ma si tratta in realtà di Ebraismo pulito, genuino, limpido e privo di ogni «tradizione che annulla la Parola di Dio». Nè Yeshùa né gli Apostoli hanno annullato l’Ebraismo, anzi, l’hanno solo ripulito da un’ondata di fango di nome «tradizione umana e carnale».
 
La missione di Yeshùa prima e degli Apostoli dopo è stata quindi quella di accogliere in “casa ebraica”, come parte della stessa famiglia quando si adotta un bambino come figlio proprio, anche degli estranei (i gentili), dando loro la possibilità di godere del Vero Dio, YHWH! Ma prima di accogliere un ospite in casa per farlo vivere insieme a loro perpetuamente, è stato giusto e corretto da parte loro spazzare e lavare il pavimento, pulire le vetrate delle finestre, togliere ragnatele e segni di umidità sul soffitto, profumare le stanze e rendere tutto l’ambiente accogliente e vivibile. Questa opera di bonifica e pulizia è servita per togliere la parte marcia dell’Ebraismo che, purtroppo, i Farisei corrotti avevano permesso che entrasse in questa “casa ebraica” solo per scopi di lucro.
 
Il cristiano non è superiore all’ebreo, ma per grazia è stato fatto diventare una stessa cosa dell’ebreo. Il cristiano (o comunquei gentili in generale) deve dire todà rabbàh o «infinitamente grazie» ai giudei osservanti come Yeshùa, Paolo o Pietro se sono stati inclusi nel piano di Dio.
 
Yeshùa non ha fondato una nuova religione che porta il suo nome, ma ha solo restaurato la fede ebraica per come doveva essere praticata e predicata. Quindi, prima di definirti cristiano è giusto che tu prenda coscienza del fatto che un vero cristiano è prima un vero ebreo!
 
Shalom
Nota
[1] Cfr. Marvin R. Wilson, Abrahamo Nostro Padre, Radici ebraiche della fede cristiana, 2007.

6 Risposte a “Innestati in Israele: cosa significa «essere cristiani»?”

  1. Ciao Daniele e grazie della tua gentile risposta!
    Riguardo alla mia domanda sulla professione di farmacista e le parole pharmakoi e pharmakeia ce di solito sono tradotte in stregoni e stregoneria ti scrivo dove compare nel N.T: Galati 5:20; Apocalisse 9:21, 18:23, 21:8 e 22:15.
    Grazie

    1. Salve Maurizio.
      Ti rispondo adesso, ma non replicherò più, in primo luogo perché chi legge non sa come e quando abbiamo cominciato il nostro confronto; in secondo luogo perché il quesito che hai sollevato non è attinente al tema dell’articolo dove commenti. Ti invito a continuare la conversazione scrivendomi per email (dalla sezione contatti, ma senza commentare nella pagina) dato che nel Blog non ricordo di aver affrontato questo argomento.

      Dunque, i riferimenti biblici da te indicati non necessariamente si riferiscono ai medici, ma più precisamente a coloro che praticavano le arti occulte nel paganesimo ed anche agli gnostici, che si servivano di “pozioni” e “incantesimi” durante i loro culti religiosi o comunque durante le loro “performance”. Il genere di personalità a cui alludono i brani da te citati, possono anche riferirsi sì ai medici, ma a quelli disonesti, come ad esempio i medici verso i quali la donna dal flusso di sangue ricercò per anni le cure per il suo male, senza trovarvi rimedio (Marco 5:26; Luca 8:43).

      Luca, ad esempio, dovrebbe forse essere inserito fra questi “stregoni” dato che era un iatros, “medico” amato (Colossesi 4:14)? Lo iatròs è uno che intraprende la cura dei disturbi fisici, un medico, ma un medico onesto che consigliava necessariamente l’uso di prodotti curativi, come infusi di erbe, diete particolari, etc., senza truffare le persone (vedi Matteo 9:12; Marco 2:17; Luca 4:23; 5:31). Il termine attribuito a Luca, riscontrabile anche in altra letteratura antica (Diodoro, Asclepio), viene anche usato per quella persona che intraprende la guarigione delle malattie spirituali, un medico (dell’anima).

      I brani da te elencati perciò si riferiscono a persone immorali. Da non dimenticare, però, che in modo particolare il libro dell’Apocalisse è un testo comprensibile solo agli iniziati a cui era stata data istruzione per capirne i lignuaggi. L’Apocalisse è un testo profetico non letterale, ricco di simboli, per cui i riferimenti alla magia e alla stregoneria possono essere simbolici e spirituali. Più volte Gerusalemme viene simbolicamente definita “prostituta”, “meretrice”, “adultera”, perché i figli di Israele si davano all’idolatria, ma ciò non significa che la parola “prostituzione”, “meretrice” e “adulterio” debbano avere sempre e comunque delle accezioni di valore carnale/sessuale. L’Apocalisse quindi non va intesa alla lettera, e le parole che usa sono dei simboli per indicare l’immoralità di una determinata categoria di persone.

      Galati, invece, si riferisce alle opere della carne: la stregoneria è affiancata all’idolatria, per cui le due cose devono essere collegate. Paolo esorta invece a fare germogliare i frutti dello Spirito che riguardano la sfera della moralità ed etica guidati dall’amore per il prossimo.

      Questi brani, quindi, non condannano la medicina o l’uso dei “farmaci”. Bisognerebbe chiedere a Luca cosa faceva dal suo canto esercitando la professione di medico. Se viene chiamato “medico amato” perché aveva il dono di guarigione, allora potenzialmente tutti dovremmo esserlo dato che in Cristo dovremmo tutti avere il dono e l’autorità di guarire gli ammalati sì… ma per forza “senza farmaci”?

      La medicina non va demonizzata, vanno demonizzati se mai i truffatori servi di mammona.

  2. Ciao Daniele e complimenti per il tuo sito e gli argomenti. Volevo chiederti a riguardo della continuità tra fede e pratica ebraiche e fede e pratica cristiane se, secondo te, un cristiano ha il dovere di seguire il calendario ebraico biblico (intendendo come primo mese dell’anno Abib/Nisan).
    La seconda domanda è sul tuo libro riguardo alla medicina, io sono laureato in farmacia e da un po’ di tempo, conoscendo il greco, leggendo alcuni passaggi del Nuovo Testamento mi sento a disagio per gli studi che ho fatto e la professione. Cosa mi puoi dire in proposito. Infine, vorrei sapere se il tuo libro sull’ebraico biblico aiuta anche alla conversazione, dato che mi sembra di capire che tra la lingua classica e l’ebraico odierno ci sono molti punti di contatto. Grazie

    1. Shalom Mauro, benvenuto nel blog.

      Un cristiano non ha “doveri” inerenti il calendario. Voglio precisare che se non si hanno certi “doveri” non vuol dire che tali doveri siano proibiti per i cristiani. Mi spiego: ai gentili non viene imposta l’osservanza giudaica, come stabilito nel Congresso di Gerusalemme di cui si parla nel NT. I cristiani gentili in particolare avevano ed hanno l’obligo di osservare pochissime cose inerenti il giudaismo, come la legge Noachica: non ingerire sangue, non mangiare carni soffocate (cioè non dissanguate) e non mangiare cibi sacrificati agli idoli pagani. Il resto delle leggi e statuti ebraici non erano imposti ai cristiani, tuttavia ne era facoltativa l’osservanza. Perciò è errato dire che i cristiani “devono”, perché per essere biblicamente corretti bisogna dire che ai cristiani viene data la libertà di scelta se osservare o meno gli statuti giudaici (incluso il calendario); ma per quanto riguarda i precetti noachici, in questi sì che si ha l’obbligo di osservanza.

      Il libro sulla medicina non è mio, ne ho solo redatto la prefazione anche se su Amazon, per errore tecnico, risulto coautore.
      Per essere più preciso, a quali passaggi ti riferisci in particolare? Non posso darti delle risposte se non mi vengono date delle indicazioni.

      Il mio corso di ebraico è di base e aiuta l’allievo a saper leggere l’ebraico biblico vocalizzato. Non è un corso avanzato che ti aiuta a conversare, perché sebbene ebraico classico e moderno derivino entrambi dalla stessa “pasta”, sono comunque due cose distinte. Non puoi usare l’ebraico biblico come lingua corrente, perché è una lingua che si usa solo in contesti non ordinari; l’ebraico biblico inotre non è lineare, perché già all’interno della stessa Bibbia ebraica ci sono tanti tipi di ebraico che, messi insieme, formano l’ebraico biblico.
      I punti in comune tra l’ebraico classico e quello odierno ci sono così come ci sono punti in comune con il latino e l’italiano. Se studi ebraico moderno inglobi tanti tipi di ebraico insieme, se studi solo quello biblico lo puoi usare solo per studiare le Scritture e la letteratura rabbinica.

      Shalom

      1. Grazie infinite Daniele della tua gentile risposta. Ci mediterò sopra.
        E perdonami se ho “intasato” il tuo interessate blog.
        Dio benedica te e tutte le tue attività
        Maurizio

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