Gli «apostoli» e «i dodici», chi sono (o erano)?

La Scrittura dice che Cristo «apparve a Cefa, poi ai dodici. Poi apparve a più di cinquecento fratelli in una volta […] Poi apparve a Giacomo, poi a tutti gli apostoli; e, ultimo di tutti, apparve anche a me, come all’aborto; perché io sono il minimo degli apostoli, e non sono degno di essere chiamato apostolo, perché ho perseguitato l’assemblea di Dio» (1Cor 15:5-9).

Molto spesso vengono solletave questioni di carattere dottrinale circa la validità dell’attività apostolica di non pochi uomini di Dio dei giorni nostri. Le questioni che vengono sollevate generalmente tendono a negare ai non pochi uomini di Dio odierni di svolgere il mandato di «apostolo» perché gli apostoli “erano solamente i dodici”. Il capo d’accusa che generalmente viene rinfacciato a questi uomini di Dio è il seguente: «questi si auto proclamano apostoli perché i veri apostoli sono stati solo i dodici scelti da Gesù! Perciò sono falsi apostoli!». In questa affermazione c’è qualcosa di vero, ovvero che quelli scelti da Gesù in persona sono stati solo «dodici» che convenzionalmente vengono chiamati anche «apostoli», ma è anche falso affermare che gli «apostoli» sono stati “solo i dodici scelti da Gesù”. La Scrittura sembra pensarla sostanzialmente in modo diverso, in quanto da un lato è assodato che «i dodici» scelti da Yeshùa restano pur sempre “irripetibili”, ovvero senza “successori” e che sono serviti per l’epoca a loro contemporanea, mentre, dall’altro lato si parla di altri apostoli esterni al gruppo dei dodici.

Il brano di cui sopra, perciò, sembra fare una netta distinzione fra «i dodici» e «gli apostoli». Ma «i dodici» non erano già degli «apostoli»? Sì, ma erano quelli scelti da Yeshùa stesso, infatti il Signore «ne costituì dodici per tenerli con sé e per mandarli a predicare» (Mc 3:14-15). Cioè questi dodici dovevano rimanere con lui, mentre ne sarebbero stati necessari altri che avrebbero dovuto operare fuori dai confini di Israele. Questi dodici sono gli “apostoli irripetibili” nella Storia, ma ciò non vuol dire che non possono esserci “apostoli ripetibili”, e di questa categoria facevano parte uomin di Dio come l’ex rabbi fariseo Paolo/Saulo e Barnaba giusto per citarne qualcuno, o come tanti altri apostoli che esistono oggi sia in Italia che fuori Italia.

 Nel brano biblico l’apostolo Paolo non dice di non definirsi «degno di essere chiamato apostolo fra i dodici», ma «non degno di essere chiamato aposotlo» esterno ai dodici, ovvero quella categoria di servi di Dio che nella storia possono essere “ripetibili” e che possono operare anche al di fuori dei «dodici» che sono “irripetibili”. Paolo, inoltre, specifica anche il motivo del suo non sentirsi degno: «perché ho perseguitato l’assemblea di Dio».

Ciò significa che chi non ha mai perseguitato l’assemblea di Dio (cioè la Sua Chiesa) può sentirsi degno o comunque provilegiato di essere apostolo! Infatti una clausola del genere mai viene riportata «dai dodici» ( compreso Mattia, necessario sostituto del suicida Giuda) né da nessun altro apostolo a lui contemporaneo. Forse perché nessuno di loro, a parte Paolo, si era prodigato di perseguitare la Chiesa!

Il fatto che Paolo stesso si definiva «minimo degli apostoli» (ma non «dei dodici»), non vuol dire che sia stato a loro inferiore all’atto pratico, perché la sua è più una clausola di umiltà personale, perché fino a prova contraria proprio Paolo (per i gentili) o Saulo (per i Giudei) ha rappresentato una delle personalità apostoliche più rilevanti del I sec. d.C., vale a dire per niente attinente ad una personalità che si trova in una posizione di inferiorità rispetto ad altri, come lui stesso si auto definiva. Paolo, in un certo senso, oltre che ad aver espresso un arbitrario giudizio personale di sé stesso, non ha inteso dire che tale sua affermazione rispecchiasse quello che Yeshùa o comunque Dio pensava di lui. Vero è che tutti gli uomini sono indegni d’innanzi a Dio, ma se Dio sceglie una persona piuttosto che un’altra, vuol dire che la considera degna o comuqnue capace di svolgere quel dato incarico. Paolo si sentì indegno perché si vergognava del suo passato da persecutore di quei cristiani di Israele (cioè ebrei che avevano riscoperto l’autenticità della Legge e i Profeti che Scribi e Farisei avevano falsato) che gironzolavano nel Tempio e nelle sinagoghe e di cui lui stessi ne entrò a far parte!

Un caso analogo allo “sminuire sé stessi” d’innanzi ad una chiamata da parte di Dio lo rivediamo in Mosè, dove egli si auto definì incapace di parlare o comunque di portare a compimento la missione che Dio gli aveva affidato, contrariamente a chi avrebbe detto l’esatto opposto in futuro: «potente in parole ed opere». Qui la Scrittura non si contraddice, ma sono semplicemente le considerazioni che due persone danno di un dato personaggio, Mosè lo disse per sé stesso, l’autore agli Atti per divina ispirazione: Mosè di sé stesso diceva di essere incapace (anche perché aveva paura di ritornare alla presenza di Faraone), quasi a sminuire la scelta di Dio per aver chiamato proprio lui come «inviato» (dal greco, apostòlos) per salvare il popolo dal giogo degli Egizi; l’autore al libro degli Atti invece elogia proprio le qualità oratorie e pratiche di quell’uomo Mosè che si auto definiva per niente carismatico né capace di essere operativo. Ciò significa che molto spesso si tende a svalutare sé stessi quando invece Dio vuole rivalutare l’individuo attraverso importanti missioni da compiere. Quando Dio vuole responsabilizzare i Suoi figli, li sottopone anche a prove oratorie od operative.

Detto questo, la figura dell’apostolo quanto a vocazione può esserci eccome ancora oggi, perché già al tempo dei «dodici» c’erano altre persone che al di fuori del loro ristretto gruppo venivano definite «apostoli». Se il titolo di «apostolo» apparteneva solo «ai dodici», perché Paolo e Barnaba venivano definiti anch’essi apostoli? Ebbene, come apostoli non sono esistiti solo «i dodici», ma anche altri gruppi di servi di Dio al di fuori dei dodici. Nel caso di Paolo, egli non ricevette al momento della sua conversione un mandato apostolico da uomini, bensì da Yeshùa stesso per mezzo della visione sfolgorante. Tuttavia, questa sua improvvisa chiamata apostolica dovette comunque essere “valutata” «dai dodici», quindi ricevere la loro approvazione.  così via dicendo sarebbe avvenuto fra i successivi «apostoli» (non successivi «ai dodici»). Ma al di là di questo, il Paolo che si sentiva indegno di essere chiamato apostolo, viveva in un contesto dove c’erano sia i dodici che altri apostoli al di fuori dei dodici. E questi «altri apostoli» che erano insieme a Giacomo non sono «i dodici» citati poco prima nel brano dei Corinzi, ma altre persone che a differenza di Paolo non hanno avuto visioni né vissuto esperienze simili alle sue; un mandato che si tramandà da apostolo in apostolo fino ai giorni nostri fino a che sarà necessaria la figura dell’apostolo “ripetibile”.

Infine, oggi l’apostolo “ripetibile” del tempo dei «dodici» esiste ancora (come tutti gli altri 4 ministeri), purché non si arroghi il diritto di definirsi successore dei «dodici» “irripetibili”, perché a causa di una equivoca e inefficace successione apostolica proveniente proprio «dai dodici» (che non avrebbero dovuto avere “discendenti apostolici”), qualcuno ci ha costruito sopra un bel Vaticano che non sarebbe mai dovuto esistere.

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