I geni manipolati di Adamo, di Pietro Buffa (recensione libro)

maxresdefaultIntroduzione

«Siamo noi esseri umani inventori di avanzate metodiche per manipolazione della vita o stiamo forse solo scoprendo tecnologie già impiegate? Se questo è vero, come decisero di intervenire gli Elohìm sull’uomo?»

È con queste parole che Pietro Buffa, a pagina 127 del suo libro I geni manipolati di Adamo, immette curiosità ai suoi lettori. Molti di essi avrebbero la risposta già pronta (ovvia per loro), vale a dire che l’uomo è stato progettato all’interno di un laboratorio di ingegneria genetica qual era il biblico Eden. Il titolo dell’ultimo capitolo di questo libro riprende il titolo del libro, dove il lettore si aspetta delle spiegazioni e prove empiriche inconfutabili che diano una risposta certa alle domande appena poste. Dico questo perché i primi sei capitoli si concentrano principalmente sulla questione scientifica della presunta evoluzione umana, senza toccare la questione “Bibbia” in modo approfondito, visto che il libro sembrerebbe dover parlare di Adamo e dei suoi geni manipolati. Anzi, di tanto in tanto, viene applicata una sorta di strategia che induce il lettore a non stancarsi della “noiosa” esposizione riguardo le disquisizioni scientifiche argomentate. Con parole simili ad “adesso ci dedicheremo al tema del titolo del libro”, l’autore è in grado di accompagnare il lettore fino all’ultimo capitolo, parole che si ripetono più volte, ma che trovano finalmente adempimento solo all’ultimo capitolo. Non so perché, ma ho come la netta sensazione che il numero dei capitoli, sette, sia appositamente studiato per “scimmiottare” i sette giorni della creazione, ripetutamente rifiutata, negata e malamente confutata dall’autore del libro (e dal suo ispiratore Biglino).

Visto il titolo assai d’impatto, ci si aspetterebbe un’analisi tale da zittire chiunque, quando poi il libro si conclude in maniera deludente e per niente esaustiva, riproponendo sempre la solita “aria fritta” di sempre: la Bibbia non parla di Dio, la Bibbia non parla di creazione… e così via. Nessuna novità, ma solo strategia di vendita di cui accennerò alla conclusione di questa recensione.

Esposizione

Il testo esordisce riducendo la creazione biblica ad un mero e triste concetto:

«Il concetto di creazione, nella sua elaborazione filosofico-religiosa atta a manifestare il potere di Dio e il suo diretto rapporto con la natura, fu talmente supportato e diffuso dalla teologia dogmatica che, per un lungo intervallo di tempo, persino gli scienziati non osavano dubitarne» (pag.20).

Quindi, quei colossi come Copernico, Da Vinci, Keplero, Einstein, Newton, Galilei e Zichichi solo per citarne alcuni, hanno creduto e credono a mere elaborazioni filosofico-religiose. Oggi, chi è intellettualmente inferiore a loro, si prende la briga di giudicarli, in quanto queste cose sono solamente false. L’autore del libro, in qualità di Biologo Molecolare quindi evidentemente “più scienziato” del vivente Zichichi, entra in una materia che non è di sua pertinenza, tentando di dare il via alla «prima radicale confutazione alla genesi divina delle specie viventi». Tuttavia, «la spedizione parte con l’intento di raccogliere prove sul racconto biblico della creazione», prove di cui in questo libro non c’è alcuna traccia, nemmeno dei validi indizi. Insomma, fin dalle prime pagine, si intende inculcare al lettore che la Bibbia non parla di creazione, e meno che mai di creazione dal nulla, sempre con la solita cantilena del “rimanere liberi da preconcetti e dogmatismi”.

Esternamente alle argomentazioni di carattere biblico, P. Buffa ci regala delle spiegazioni molto interessanti di carattere medico-scientifico, spiegazioni maggiormente chiare per chi è un addetto ai lavori o almeno studia questo genere di cose. Per quanto mi riguarda, in qualità di studente in medicina, non potevo lasciarmi sfuggire la lettura di questo libro, dato che la pubblicità di quest’ultimo prometteva bene, ovvero che non tutte le pagine del libro (a parte quelle dell’ultimo capitolo) sarebbero da strappare o “far passare per il fuoco”.

astronauta-precolombinoLa teoria dell’evoluzione sembra essere ormai quasi scartata del tutto dalla maggior parte degli studiosi, perché il cosiddetto “anello mancante” fra ominide e Sapiens è talmente ben nascosto da qualche parte (ammesso che esista davvero), che solo un “intervento esterno” potrebbe giustificarne la sua totale irreperibilità. Per “intervento esterno” mi riferisco alla fantomatica “teoria degli antichi astronauti” che da circa 40 anni ha saputo infestare le menti della gente intellettualmente debole (o ingenua) come una vera e propria piaga incurabile. Zecharia Sitchin è il padre di questa menzogna/teoria (accompagnato poi da Erick Von Däniken, Alan F. Alford e derivati; cfr. Giovanni 8:44), che prevede il presunto intervento genetico da parte di individui in carne ed ossa venuti probabilmente da Orione, utilizzando così il suo presunto patrimonio genetico (afàr = DNA) mescolato con quello degli “déi” (tzelém), traendone fuori così l’Homo Sapiens, un lavoratore/schiavo in grado di prendersi carico della fatica degli “déi” lavorando al posto loro. Da nessuna parte la Bibbia dice simili assurdità.

Queste teorie sarebbero emerse da una “profonda” lettura dei testi mesopotamici che, a quanto pare, parlerebbero di questi “antichi astronauti” e sui loro interventi sul nostro pianeta, compresi gli esseri viventi. La cosa “buffa” (non mi riferisco all’autore del libro) è che ci sarebbero delle prove che accerterebbero che persino la Bibbia parlerebbe di questi individui in carne ed ossa venuti dallo spazio: la Bibbia li chiama Elohìm (plurale assoluto), i testi mesopotamici li chiamavano A.nun.na, poi divenuti A.nun.na.ki dopo essere sbarcati sulla Terra. Le corrispondenze fra Anunnaki ed Elohìm sarebbero talmente palesi che i critici della Bibbia affermano con estrema certezza che le Scritture «dicono esattamente le stesse cose dei poemi assiro-babilonesi e sumero-accadici». Tuttavia, senza toccare la sfera del “mito” (ampiamente argomentato nel mio best-seller), vorrei parlare della questione “clonazione umana”.

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Leggi l’articolo cliccando qui.

La clonazione umana

Il settimo ed ultimo capitolo del libro esordisce con un articolo di giornale in cui, in un’intervista fatta al rabbino Egael Safran (clicca qui per leggere l’articolo integralmente – aggiornamento del 14/02/2017: il link dell’articolo è stato misteriosamente reso indisponibile. Tuttavia, chi volesse la scansione ad alta risoluzione dell’articolo (inserito il 15/05/2020) in questione clicchi qui), egli afferma che la Bibbia parla già della clonazione e, quindi, per gli ebrei non sarebbe una novità entusiasmante, ma anzi un qualcosa già scritto da millenni. Rabbi Egael dice: «Il problema non è la creazione di nuove creature ma l’uso che se ne fa. È un diritto dell’uomo intervenire per modificare l’opera della natura». Vorrei precisare che con questa affermazione Egael non nega la creazione biblica, ma si concentra sull’uso che se ne fa delle creature. Insomma, per Egael e i rabbini di fede come lui (di cui non si citano i nomi) non è un problema la questione sulla clonazione degli animali, come avvenuto con la pecora Dolly, ma sarebbe tuttavia un problema qualora questo nuovo traguardo scientifico venisse adoperato per scopi “loschi”, o comunque poco ortodossi dal punto di vista etico-morale (leggi articolo linkato sopra). L’articolo non parla di clonazione nella Bibbia, ma solo dell’impatto che questo nuovo traguardo scientifico ha avuto nell’Ebraismo! Egael aggiunge anche:

«La cultura ebraica non nega del resto la possibilità di perfezionare la creazione. Noi pratichiamo sui nostri figli la circoncisione, che costituisce il prototipo di un intervento correttivo sulla natura umana. Rispettare il mondo della natura non significa automaticamente desiderare che tutto resti immutato. Della natura, infatti, fa parte a pieno titolo anche lo stesso intelletto umano».

Per il rabbino, la creazione può essere “migliorata”, come se il Creatore avesse sbagliato qualcosa che all’uomo è dato di correggere (anche la famosa Gap Theory rientrerebbe in questo “miglioramento” creazionistico da parte di Dio stesso). Credo sia lecita la ricerca contro le malattie e le patologie che l’uomo stesso si auto-infligge anche mediante il peccato (vedi Mt 9:2; Mc 2:5; Lu 5:20; 7:48 – l’Antico Testamento possiede numerosi esempi). Per il rabbino, la circoncisione è un «prototipo di intervento correttivo», quando lo stesso Tanakh lo definisce «un segno del patto fra me (YHWH) e voi» (Gn 17:9-11). L’aspetto igienico-migliorativo, nelle Scritture, non viene nemmeno menzionato anche se in modo sottinteso se ne suggerisce il valore circa la sua importanza igienico-sanitaria. Crescere, quindi migliorarsi in sapienza e conoscenza non è come “migliorare” l’aspetto fisico siliconandosi il seno o “pompandosi” in palestra. L’intelletto con l’aspetto esteriore nulla hanno a che fare, perché uno è interno, l’altro esterno al corpo umano. Si potrebbe ricorrere alla chirurgia estetica nei casi in cui un soggetto X rimanga gravemente ustionato al volto. Insomma, migliorare ciò che già è sano è un eccesso, è un non accettare sé stessi per ciò che si è, semplicemente perché agli occhi nostri o agli occhi degli altri non siamo gradevoli.

Aggiungerei che l’intelletto ci è stato dato anche e soprattutto per non concepire simili pensieri e affermazioni (vedi Rm 1:21; Ef 5:6; 1Tim 6:20). Le Scritture, come nell’intervista fatta al rabbino, pongono la questione di non mescolare insieme dei tessuti, delle piante e degli animali, creando così degli ibridi come il mulo (asino + cavalla) che non esistono in natura. Il rabbino probabilmente cita le Scritture addomesticandole per i suoi lettori, esattamente come facevano gli Scribi al tempo di Geremia, che “addomesticavano” il contenuto delle Scritture affinché non facessero la stessa fine del Profeta: la prigionia (vedi Riassunto dell’Antico Testamento – una base necessaria per comprendere meglio il Vangelo, di Fernando De Angelis).

Detto questo, Pietro Buffa – come Mauro Biglino – addomestica le parole dei rabbini per far propaganda a questioni etiche che la Bibbia (e anche il buon senso) non accetta (o non dovrebbe accettare).

human-cloning-diagramEva era un clone?

A dire il vero, non saprei se per quanto riguarda Eva si possa parlare realmente di “clonazione” così per come la intendiamo noi oggi, in quanto per stessa ammissione di Biglino e del Buffa (e di tutta la comunità scientifica), le procedure di clonazione prevedono la presenza tassativa di un soggetto maschile donatore (nel caso biblico, Adamo) e di un soggetto femminile ricevente (inesistente prima della “fabbricazione” di Eva). Se fosse vero che la Bibbia parlasse di clonazione nel frangente creazionistico di Adamo/Eva così per come la scienza moderna ci insegna, nascono dei problemi non indifferenti, in quanto nella Bibbia non c’è traccia di un soggetto femminile (ricevente) prima della comparsa in scena di Eva. Se fosse vero che gli “antichi astronauti” abbiano operato su Adamo (donatore) con le moderne tecniche di clonazione, bisognerebbe chiedersi come abbiano fatto a procedere senza un soggetto femminile in cui innestare le cellule somatiche di Adamo modificandone prima il genoma. La risposta a questo ovvio dilemma però è banalmente semplice: basta aggiungere alla Bibbia cose che non dice, ricorrendo ai testi sumero-accadici-assiro-babilonesi che parlerebbero di cose in cui la Bibbia, appunto, tace. Quindi è errato e speculativo dire “la Bibbia dice che…” quando lo direbbero, apparentemente, altri testi.

Anzi, per completezza di informazioni e per suggerire maggiori spunti su cui riflettere, sarebbe più plausibile attribuire a “Qualcuno” un intervento di clonazione vero e proprio quando nella Scrittura leggiamo che «Adamo […] generò un figlio a sua somiglianza, a sua immagine, e lo chiamò Seth», affermazione che non si legge né per Caino né per Abele. Tuttavia, leggiamo che fu Adamo a «generare» il terzo figlio «conoscendo» Eva sebbene si possa cadere nell’equivoco che fu Dio a dare un altro figlio alla coppia al posto di Abele (Genesi 4:25) per mezzo della clonazione. Inoltre, prima ancora, cioè in Genesi 4:1, si dice che Caino fu acquistato da Adamo «con l’aiuto di Yahweh». Aiuto in che senso? Comunque, il testo parla chiaramente, dicendo che Caino, Abele e Seth furono «generati» (e non «fatti/fabbricati/costruiti») per mezzo del rapporto sessuale mediante l’uso del verbo yadà«conoscere», che ha anche il significato di conoscere, esperienza sessuale.

Tuttavia, si dimentica molto facilmente che i testi mesopotamici, come la Bibbia e la Divina Commedia d’altro canto, godono di un linguaggio arcaico che va tassativamente studiato e capito nella sua complessità. Poi, naturalmente, si è liberi di «fare finta» in ciò che si vuole.

La cosa strana, se non al quanto ridicola, è che lo stesso Giovanni Pettinato, assiriologo di fama mondiale ormai scomparso, definiva gli Anunnaki non degli individui in carne ed ossa (come pensava Sitchin e derivati), ma delle antropomorfizzazioni dei pianeti e delle forze della natura, esattamente come credevano i greci (e Omero nelle sue opere) con le divinità dell’Olimpo e gli indiani con le divinità induiste (idem i popoli mesoamericani).

Leggiamo ancora cosa scrive P. Buffa:

«[…] quel titolo su «l’Unità» “La clonazione: c’è già nella Bibbia“, assume un significato che ha il sapore di una giustificata affermazione».

Quale giustificata motivazione, dunque, se non sembra esserci traccia di clonazione per come la intendiamo? “Mistero della fede”…

biblical-hebrew-scrollUn pò di ebraico

Lo striminzito settimo capitolo del libro (che potrei benissimo tradurre come la famosa “settima fetta” della polenta valsugana), incoraggia il lettore a «ripartire dall’analisi semantica dei corrispettivi passi della Bibbia ebraica Stuttgartensia, che rappresenta il testo originale di riferimento su cui sono redatte le comuni traduzioni e sul quale Biglino ha condotto le sue analisi che qui presentiamo» (pag. 128). In questa pagina, P. Buffa propone la traduzione di Biglino che, anche con una minima conoscenza delle regole basilari dell’ebraico, risulta errata se non volontariamente adulterata.

«Facciamo finta che» Biglino traduca bene la parola betzalménu di Genesi 1:26: «con-immagine-di-noi». Essendo una traduzione sua personale, vediamo insieme come scompone la parola:

  • be = conpreposizione
  • tzalme (da tzelém) = immagine
  • nu = di-noi (cioè, nostra) – suffisso pronominale 1^ pers. plur. costrutto

In questo modo, P. Buffa intende la parola ebraica in questione come “DNA”, ovvero «quel quid di materiale che contiene l’immagine» degli Elohìm, in quanto, la preposizione “be”, che può essere tradotta sia «in» che «con», significherebbe anche «per mezzo di», cioè servirsi di un qualcosa. Nessun rabbino, nessun esegeta, nessun filologo e nessun dizionario suggeriscono che la traduzione di betzalménu voglia significare «per mezzo di-quel quid di materiale che contiene l’immagine-di noi». Questa falsa traduzione proposta inizialmente da Sitchin, serve per avvalorare l’ipotesi della materialità dei creatori/fabbricatori dell’uomo, dotati di sangue, per opera degli Anunnaki prima e degli Elohìm dopo. Importante è sapere che la Bibbia non ritrae mai Yahweh Elohìm (il Creatore biblico) come entità materiale, mentre lo fa con gli altri tipi di elohìm: statue e feticci (idoli pagani), messaggeri divini o umani, uomini dotati di grande prestigio (leggi articolo correlato).

Passiamo alla parola kidmuténu:

  • ki = come, secondopreposizione
  • dmute (da demùt) = somiglianza
  • nu = nostra –  suffisso pronominale 1^ pers. plur. costrutto

Anzitutto, le due parole betzalménu kidmuténu scritte insieme, connotano la figura retorica dell’Endiadi, di cui non ne parlerò adesso avendone già discusso in altra sede (leggi articoli correlati). Biglino dice: «traduco letteralmente l’ebraico» (Antico e Nuovo Testamento libri senza Dio, pag.13), anche se spesso e volentieri sembra dimenticare i principi fondamentali di una traduzione letterale e quindi in cosa consiste una vera traduzione letterale, interpretando a sua volta. Anche se banale come esempio, stavolta Biglino non traduce più ad litteram il suffisso pronominale “nu” con «di-noi», bensì con «nostra». Attenzione, la traduzione è corretta, ma non può definirsi ad litteram perché la traduzione «nostra» è solo adattata alla “nostra” grammatica, in quanto in ebraico si usano le espressioni di-me, di-te, di-noi, di-voi, di-lei, di-lui, etc. in sostituzione all’aggettivo possessivo mio, tuo, suo nostro, etc. (nell’ebraico non esiste il verbo “avere” perché, secondo la genuina metalità ebraica, tutto appartiene a Dio).

Stesso errore viene commesso con la parola betzalmò, resa «con-immagine-sua» anziché «con-immagine-di lui». Se ci si distrae con queste piccole cose, figuriamoci con quelle più grandi e sostanziose.

Il verbò barà

Al verbo barà viene annullato il suo significato di «creare», in modo da portare avanti la tesi che la Bibbia non parla di creazione, ma di interventi su un qualcosa di preesistente per modificarlo. Stranamente, però, gli stessi lessici usati anche da Biglino dicono che barà significa anche «creare» e che ha anche il significato di «ingrassare, separare», ovvero intervenire su qualcosa di concreto per modificarlo o separarlo. Mi chiedo, contestualmente parlando e a titolo d’esempio, come si possa intendere il versetto 27 di Genesi 1 con la lettura seguente:

«E separò/ingrassò Elohìm il terrestre con immagine di lui; con immagine di Elohìm separò/ingrassò lui; maschio e femmina separò/ingrassò loro».

Non essendoci alcuna logicità con questa traduzione, Biglino propone di tradurre barà con «formare», significato che tuttavia appartiene già al verbo yatzàr. Anche l’autorevole Koehler & Baumgartner – che ormai utilizzo come lessico di riferimento – ci suggerisce che barà voglia significare anche «creare».

Un conto è dire che barà significhi anche «creare», un altro conto è «fare finta» che questo significato non esiste. Di conseguenza, si sminuisce la creazione ad un mero “concetto”.

Il verbo yatzàr viene utilizzato la prima volta in Genesi 2:7, quando l’uomo viene «formato» dalla polvere del suolo. Mentre Genesi 1 dice per tre volte consecutive che l’uomo viene «creato» (cioè il modo in cui viene concepito questo essere terreno) da Elohìm con delle caratteristiche specifiche (betzalménu kidmuténu), Genesi 2 dice invece come viene «formato/fabbricato/costruito», ovvero le modalità di come è stato letteralmente plasmato dalla polvere (afàr e non DNA degli ominidi – leggi articolo correlato) del suolo, l’adamàh (femminile di adam) dopo essere stato concepito come idea, progetto. Il concetto di “creazione dal nulla” (ex-nihilo) non appartiene alla creazione dell’uomo, e questo è ovvio, ma appartiene alla creazione dell’universo di cui si parla in Genesi 1:1 (leggi articolo correlato)!

Lo slittamento semantico

È ormai risaputo quanto a Biglino piaccia giocare con il cosiddetto “slittamento semantico”, ovvero quel metodo poco onesto di trasferire il significato delle parole ad altre parole (leggi articolo correlato) che potrebbero essere usate anche come sinonimi. Basti eliminare le vocali che i Masoreti hanno graficamente inserito al testo consonantico, che al testo biblico si può far dire ciò che si vuole.

Al verbo barà, quindi, viene omesso il significato di «creare» sostituendolo al significato che possiede yatzàr, «formare». Il testo biblico usa anche il verbo «fare», ‘asah, ed è interessante notare come barà e ‘asàh appaiano insieme in un medesimo contesto, come espresso in Isaia 45:12 solo per fare un esempio:

«Io ho fatta (‘asàh) la terra e ho creato (barà) l’uomo su di essa; Io, con le mie mani, ho spiegato i cieli e comandato tutto il loro esercito».

Perché per la terra si usa ‘asàh mentre per l’uomo il verbo barà? Vediamo cosa ha da dire la Treccani a proposito del “sinonimo”:

sinònimo Vocabolo o espressione che, in linea astratta e generale, ha lo stesso significato di un altro. La linguistica ha appurato come la sinonimia assoluta sia inesistente: anche in casi come viso-volto-faccia, opposto-contrario, scuro-buio, testardo-ostinato-caparbio-cocciuto, porta-uscio. Ciascuna parola infatti presenta caratteristiche proprie relative a componenti semantiche, livelli stilistici, ambiti d’uso, diffusione geografica ecc., che la rendono, sia pure di poco, diversa dalle altre vicine.

La s. assoluta è di fatto inesistente nelle lingue naturali; anche in casi come viso-volto-faccia, opposto-contrario, testardo-ostinato-caparbio-cocciuto, porta-uscio, ciascuna parola presenta caratteristiche proprie relative a componenti semantiche, livelli stilistici, ambiti d’uso, che la rendono, sia pure di poco, diversa dalle altre vicine.

Quindi, è bene dire che ‘asah e barà non possono considerarsi “sinonimi assoluti”, perché entrambi detengono «caratteristiche proprie relative a componenti semantiche, livelli stilistici, ambiti d’uso, che la rendono, sia pure di poco, diversa dalle altre vicine». Barà indica di per sé una cosa, ‘asàh indica di per sé un’altra cosa.

Poi c’è anche da capire come Dio (Yahweh) abbia spiegato i cieli e come faccia a comandare tutto il loro esercito (ovvero gli astri). Ci sarebbe anche da chiarire la frase «Yahweh degli eserciti», se riferita a un’esercito bellico o agli eserciti del cielo, ovvero un modo poetico per riferirsi ai corpi celesti (Genesi 2:1). Non dimentichiamo che il libro di un profeta presenta sempre, o comunque molto di frequente, un linguaggio profetico e non letterale. Non ci resta che «fare finta che» ciò che il redattore biblico abbia voluto scrivere significhi quella cosa lì…

Conclusione

Senza entrare nel merito di altre discussioni, concludo dicendo che l’ultimo capitolo del libro di Pietro Buffa risulta essere striminzito di informazioni e nulla convincente né esaustivo per l’obiettivo che si vuole proporre: dimostrare che la Bibbia parla di interventi alieni sulla creazione di Adamo, con i rispettivi geni manipolati, e della (impossibile) clonazione di Eva che secondo noi non è mai avvenuta. Quest’ultima, a mio avviso, non può essere spiegata se non con un intervento estraneo alla nostra scienza umana: un intervento di natura trascendente. Vengono riportate solo le considerazioni suggerite da Biglino.

Questo testo funge in sostanza da “pseudo garanzia” che le teorie di Sitchin, riscaldate poi dall’amico Biglino, possano avere un valore scientifico per quanto riguarda il punto di vista della biogenetica.

L’autore espone la sua stessa materia di competenza in maniera esemplare e chiara, degna di uno che ha vinto il premio internazionale Marie Curie, mostrando nei primi sei capitoli un proprio stile espositivo sincero e genuino. Passando al capitolo 7, invece, il suo stile espositivo muta drasticamente, tanto da indurci a pensare che questa “settima fetta” di libro sia stata scritta da un altro autore, magari da Biglino stesso (cosa che ho notato anche con il testo della Stefani Tosi, leggi articolo correlato) e che quindi, egli, non sia stato solamente l’autore della prefazione. Tuttavia, P. Buffa non risponde in nessun modo al tema proposto dallo tesso titolo del libro.

Il testo si chiude dunque con le considerazioni “bigliniane” (compresi i rimandi commerciali ai suoi libri), come se ad avere l’ultima parola debba essere “l’esperto in materia”, tuttologo e “Gran Maestro” Mauro Biglino o chi, per suo conto, ne ha redatto il macchinoso “copione” dal quale non intende allontanarsi.

12 Risposte a “I geni manipolati di Adamo, di Pietro Buffa (recensione libro)”

  1. Ciao Daniele,
    solo una precisazione: nella citazione dell’articolo del professor Safran, hai omesso la frase che giustifica il titolo dell’articolo: “E’ vero. Basterebbe vedere come sono venuti al mondo Adamo ed Eva.”

    Tutto il discorso sulla circoncisione non ha attinenza con l’oggetto in discussione.

    Un saluto e complimenti per il tuo sito e per il tuo lavoro (molto dettagliato e chiaro).
    AN

  2. Buongiorno,
    Il confronto diretto tra gli interessati è sempre la cosa migliore. Si faccia inviatare ad un convegno e ne parli apertamente. Penso che sia la cosa migliore da farsi.

  3. A parte i “grandi sistemi” con cui, a Voi tutti, piace sollazzarvi in erudite giravolte pindariche, ho trovato un errore nella scrittura della, dotta, recensione e precisamente nel paragrafo della conclusione in cui è scritto “crezaione” in vece di “creazione”. Orbene, al contrario di tutti Voi dotti che scrivete fesserie sparando sentenze su verità che non conoscete, rimango nel mio umile sentire sapendo bene che è già difficile scrivere in italiano corretto, rileggere, correggere e ricorreggere senza addentrarsi in complicate esegesi storiche e linguistiche, di molto più complicate e difficili da destreggiare, per i più. Grazie.

    1. Egregio signore senza volto, riscontrando un errore di battitura, pensa di aver smascherato o confutato qualcosa? Oppure si limita ad attaccare il pensatore in modo scialbo data la sua evidente incapacità di sollevare questioni sui pensieri? Anziché destreggiarsi con il suo itaGLIAno, è in grado di dare una risposta al tema di cui si è parlato nella recensione? Sarò ben lieto di continuare la conversazione con lei qualora si dimostrerà capace di concentrarsi sull’argomento proposto e non sull’autore. Se per lei questo scritto risulta complicato, è palese la sua incapacità di affrontare a testa alta l’argomento.

      Saluti

  4. Davi aggiornarti, è uscito un altro libro di Buffa e Biglino: “Resi Umani”, molto meglio del primo a mio avviso.

    1. Mi è bastato leggere il testo in oggetto per convincermi in modo definitivo di non spendere più soldi per coloro che amano guadagnarci sull’ignoranza della gente.

  5. Ho letto quasi tutto, ma quando sono arrivata alla citazione della Divina commedia come linguaggio arcaico assimilandola alla Bibbia ho smesso di leggere. Ho capito la tua preparazione.

    1. Buongiorno, evidentemente non è una brava lettrice, dato che i buoni lettori arrivano sempre alla fine. Internet non fa per lei… e sicuramente nemmeno i libri.

      Cordialmente,
      Daniele

  6. come traduci tu “betzalmenu”?
    In cosa sono sbagliate le traduzioni di Biglino e di Sitchin di questa parola?

    1. Caro Alessandro, ho ampiamente parlato di “betzalménu” in questo articolo: http://danielesalamone.altervista.org/m-biglino-e-limmagine-e-somiglianza-di-elohim-un-po-di-chiarezza-prima-parte-be-tzalmenu/
      Al suo interno trovi anche il collegamento per l’analisi di “kidmuténu”.

      La traduzione letterale che Biglino suggerisce contiene una mezza verità, ovvero che da un lato sostiene che il termine significa “un lato” (e questo è vero), dall’altro lato egli sostiene che significa sorpattutto “quid di materiale che contiene l’immagine”. La prima proposta è una traduzione corretta, la seconda è un’interpretazione arbitraria perché il significato di tzelém, cioè “tagliato fuori”, non significa “estrarre un quid di materiale che contiene l’immagine degli Elohìm”, cioè il DNA, ma significa ricavare un’immagine o rappresentazione mediante la scultura. Non voglio anticiparti altro, perché trovi già tutto spiegato nel link che ti ho menzionato.

      Cordialmente,
      Daniele

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