Dio non ha dimenticato il mondo: la creazione dal nulla

Il testo che si propone qui di seguito è tratto dal capitolo di un libro che contiene una raccolta di riflessioni del celeberrimo Rav J.D.B. Soloveitchik, uno dei maggiori pensatori ebrei del ‘900, nonché un talmudista e un’autorità rabbinica eminente, rispettata in America, Europa e Israele. Si è scelto di proporre questo testo perché con esso si intende chiarire, si spera per via definitiva, il concetto di creazione dal nulla secondo la concezione ebraica dell’origine del mondo e dell’intero universo. Questo come tentativo per dare una risposta autorevole alla critica eretica che cerca di negare alle Scritture, nonché alle stesse parole ebraiche in essa adoperate, che Dio abbia portato all’esistenza ogni cosa dal nulla e che non esiste un termine che voglia significare creare dal nulla. Senza dilungarmi troppo, invito il lettore credente e non a prendere in seria considerazione quanto scrive Rav Soloveitchik nel suo testo Reflections of the Rav nella sua edizione italiana Riflessioni sull’ebraismo.

Ci sono momenti nella storia e nella vita delle persone, in cui sembra che Dio abbia abbandonato tutto quanto concerne le vicende umane. La Torah chiama questa situazione hester panim (letteralmente «nascondere il volto») e descrive questi periodi come caratterizzati da castighi. L’uomo si sente perduto ed abbandonato davanti alle paurose eventualità dell’esistenza. Tuttavia, Dio non si è mai ritirato dalla Sua creazione, tutta l’esistenza dipende dalla Sua continua partecipazione: che cosa, dunque, sta a significare hester panim? Cercheremo di spiegarlo nel contesto delle due fasi della Creazione Divina, come sono state delineate dal Nachmanide.

Borè e Yotzer

Il borè è colui che crea yesh me’ayin, che crea qualcosa dal nulla. Soltanto Dio può essere un borè (creatore): miracolosamente, egli porta il mondo all’esistenza tramite una creazione ex nihilo, dal nulla. L’uomo non potrà mai essere un creatore; può essere soltanto uno yotzer. Deve avere prima il materiale e solo allora può dar forma al suo prodotto. Il Nachmanide descrive in questo modo il processo della Creazione: «Il Santo Benedetto creò tutte le cose dal nulla assoluto e nella nostra sacra lingua non esiste altro termine per indicare tale concetto che il verbo barà.[1] Ma non tutto ciò che è stato creato sotto il sole o sopra di esso ha avuto effettiva origine dal nulla.

«Dio trasse dal nulla assoluto una materia sottilissima inconsistente, capace di assumere forme diversificate passando dalla potenza all’atto. E’ la materia primigenia, chiamata dai Greci hyle. Dopo di essa Dio creò, barà, più nulla, ma plasmò e fece soltanto, perché dalla hyle Dio trasse il tutto e lo accomodò».

Quando un vasaio plasma un vaso di creta, egli non sta davvero creando, quanto piuttosto dando forma a qualcosa: egli dà forma all’argilla amorfa, che esisteva da prima che egli iniziasse il proprio lavoro. Anche qualora si trattasse di un artigiano di valore, il suo prodotto non potrà eccedere le potenzialità inerenti la creta: le misure del vaso non potranno superare quelle premesse dal quantitativo di materiale impiegato, le sue caratteristiche artistiche verranno influenzate dalla qualità del materiale grezzo. Tutte queste considerazioni esterne limitano l’intervento dell’artigiano. Inoltre, non sarà necessario un rapporto continuativo tra il vasaio e il vaso: una volta completato, il vaso potrà essere venduto o donato, mentre l’artigiano si dedicherà ad altri lavori. Tale è il modus operandi dello yotzer che produce un oggetto da un altro. L’atto iniziale di Dio, invece, fu costituito da una creatio ex nihilo, propria del borè. L’inno liturgico Adon ‘Olam proclama: «Signore del mondo che regnò da solo, mentre l’universo era ancora nulla». Questo asserisce che prima che Dio creasse il mondo, c’era soltanto Lui e null’altro: egli non assomiglia ad un artigiano umano, che può produrre soltanto da materiali grezzi. La parola ayin, come riportata nell’espressione yesh me’ayin, risulta ambigua, dato che prima della creazione non c’era ayin, non esisteva il vuoto. C’era soltanto yesh, Dio, il quale, stando alle parole dello Zohar, «riempiva l’intero universo». La parola ayin viene usata in mancanza di un altro modo per esprimere l’idea che non vi fosse nulla di preesistente, nessun materiale primordiale precedente la creazione. Il Nachmanide, che descriveva il mondo come fosse stato creato in due fasi, insistette sul fatto che la hyle iniziale era stata creata da Dio. La hyle era descritta da antichi pensatori come una sostanza informe e caotica che può essere intesa, in termini moderni, sia come un tipo di energia che come degli atomi fluttuanti senza meta. A questo punto la beri’ah aveva fine. Successivamente, Dio formò il mondo nella realtà che conosciamo attualmente, e questa è la yetziràh descritta in Gen. 1:2 sgg.

Il dissenso del mondo secolare

L’antico filosofo greco Platone rifiutò di accettare la possibilità che una materia fisica, la hyle, potesse venire creata da Dio, essere spirituale. Platone, pertanto, dichiarò che Dio avrebbe potuto essere solamente uno yotzer, un Plasmatore, non un borè, un Creatore. Aristotele credeva inoltre che la materia condividesse con Dio l’eternità. Tuttavia il principio della Torah, come insegnato dalla tradizione e come fu formulato da Maimonide, Nachmanide, Yehudah Halevi ed altri, afferma che Dio creò il mondo yesh me’ayin e che nessuna materia, neppure la hyle, esisteva precedentemente. La creazione è una emanazione di Dio, la Sua associazione con questa è intima e continua e riflette aspetti della Sua santità. Il mondo non potrebbe durare un istante senza il Suo aiuto, perché la sua continua esistenza partecipa dell’esistenza di Dio.[2] Il Midrash (Gen. R. 1)[3] riporta un dibattito tra un antico filosofo ed uno dei nostri saggi su questo argomento. Il filosofo sfida Rabban Gamliel: «Il tuo Dio era solamente un abile plasmatore (non un creatore). Egli possedeva materiali grezzi che l’hanno aiutato nella sua opera, pertanto non si trattò di creazione ex nihilo». «E quali erano questi (materiali)?» chiese il Rabbi. Egli rispose «tohu (massa informe), vavohu (vuoto), choshek (oscurità), mayim (acqua), ruach (vento), e tehomot (profondità), [che sono menzionati in Gen. 1:2 precedentemente alla prima dichiarazione di Dio: Sia…. Il Rabbi rispose alterato: «Con ognuna di queste è stata adoperata la parola beri’ah» (in svariati versi scritturali, citati dal Midrash, che dimostrano che tali essenze furono pur esse create ex nihilo e che non erano preesistenti). Non abbiamo fatto grandi progressi fin dai tempi antichi nel persuadere il mondo laico del principio yesh me’ayin. Nonostante l’evidenza palmare della teoria del big bang, apparentemente l’unica plausibile dal punto di vista logico, ci sono scienziati che continuano a supporre che particelle di materia siano sempre esistite. Allo stato attuale delle cose, gli strumenti della scienza sono incapaci di decifrare la natura della creazione, dato che la scienza ha a che fare con energia e materia, le quali sono sorte con la creazione e non prima. In verità, la creazione è un problema metafisico, non scientifico.[4] La Torah continua così a trovarsi in contrasto con buona parte del mondo secolare per quanto riguarda il problema dello yesh me’ayin.

Dal punto di vista religioso, il fatto di credere o meno al yesh me’ayin riveste una grande rilevanza. Infatti, se ogni cosa è stata creata da Dio, allora egli è onnipotente, Signore dell’universo che dirige secondo la propria volontà e che risponde al Suo volere. Dio è quindi in grado di fare miracoli, di rivelarsi sul monte Sinai e di dirigere la storia verso un esito messianico. La Sua creazione costituisce essa pure un’assicurazione sul Suo costante coinvolgimento col mondo e con l’uomo, la cui esistenza dipende dal Suo continuo sostegno. Il yesh miyesh, al contrario, propone un dualismo, l’eterna esistenza di qualcosa insieme a Dio, la quale sarebbe governata da sue leggi interne, da una sua propria natura e sopra la quale Dio non potrebbe che avere un controllo limitato. La relazione di Dio rispetto ad un tal genere di universi sarebbe simile a quella del vasaio col suo vaso. Un Dio così limitato non è il Dio d’Israele.

Tratto dal testo di J.D.B. Soloveitchik, Riflessioni sull’ebraismo, a cura di Abraham R. Besdin, Giuntina, 1998, p.40-43.

Note

[1] Il grassetto è mio.

[2] «… che sempre ogni giorno rinnova nella Sua bontà l’opera della Creazione» (dalla liturgia del mattino). Nota come nell’originale.

[3] Vedi al seguente indirizzo url: https://www.sefaria.org/Bereishit_Rabbah.1?lang=bi (18/01/2018).

[4] Una recente scoperta astronomica ha da qualche tempo messo in crisi la tradizionale opposizione della scienza alla concezione della Creazione ex nihilo. Il Dr. Robert Jastrow scrive: «Prove in contrario hanno ormai indotto quasi tutti i ricercatori ad abbandonare l’idea di una situazione immota e a ritenere che la teoria del big bang sia l’unica in grado di spiegare i fatti. Tutte le teorie tradizionali, infatti, presuppongono che ci sia stato un inizio, finché qualche scienziato non ha osato domandarsi: “Che cosa avrà preceduto quell’inizio?”». Edmond Whittaker, un fisico britannico, ha scritto un libro sulla religione e la nuova astronomia dal titolo The beginning and the end, nel quale afferma: «Non vi è base alcuna per supporre che materia ed energia esistessero prima che si siano attivate all’improvviso: in che cosa avrebbe dovuto differenziarsi quell’istante da tutti gli altri istanti dell’eternità? è assai più semplice presupporre una creazione ex nihilo, una Volontà Divina che avrà creato la natura dal Nulla. Altri sono giunti addirittura a chiedersi “Chi fu la causa prima?”». Lo scienziato inglese Edward Mine è autore di una ricerca matematica sulla teoria della relatività che si conclude con le parole: «Quanto alla causa prima dell’universo in rapporto alla teoria dell’espansione lasciamo al lettore trarre le sue conclusioni, ma certo il nostro quadro resta incompleto senza di Lui (Dio)… Si deve in ogni caso postulare un inizio, dal momento che le leggi note della fisica non sono sufficientemente forti e siamo in presenza di forze e circostanze che non possiamo scoprire… La scienza non è in grado di rispondere a queste domande perché, secondo gli astronomi, nei primi istanti della sua esistenza l’universo, compresso all’inverosimile, fu divorato dal fuoco, al di là dell’inimmaginabile. Lo sconvolgimento prodotto da questa spinta immane ha certamente distrutto ogni prova infinitesima che potesse fornirci la spiegazione del big bang… La ricerca dello scienziato sul passato si conclude al momento della creazione». (New York Times Magazine, 25.6.1978). Nota come nell’originale.

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