Cosa è simbolico e cosa è letterale della Scrittura?

Per capire come va approcciato lo studio ed interpretazione della Bibbia, è necessario tenere conto di alcuni elementi fondamentali senza i quali non è possibile applicare una corretta ermeneutica della Scrittura.

1. Ebraico Biblico

Quando si parla di Ebraico Biblico bisogna sapere che l’ebraico della Scrittura non è tutto uguale. L’Antico Testamento utilizza 4 tipi di ebraico:

  1. EBRAICO ANTICO CLASSICO: questo tipo di ebraico è quello che per tradizione viene associato ai patriarchi della Genesi e Mosè. Cioè questo tipo di ebraico sarebbe quello che i patriarchi e Mosè parlavano. Tuttavia, bisogna dire che al tempo dei patriarchi e di Mosè l’ebraico non esisteva ancora. Per cui attribuire questo ebraico ai patriarchi e a Mosè è solo una speculazione.
  2. EBRAICO BIBLICO CLASSICO: questo tipo di ebraico è quello che si incontra nella Toràh e in tutti i libri successifi fino a Isaia, cioè quasi tutto l’Antico Testamento.
  3. EBRAICO BIBLICO TRANSIZIONALE; questo tipo di ebraico riguarda i libri di Geremia ed Ezechiele. Si chiama in questo modo perché si trova fra l’Ebraico Biblico Classico e l’Ebraico Biblico Tardo.
  4. EBRAICO BIBLICO TARDO = il quarto tipo di ebraico che si incontra nella Scrittura riguarda i libri di Ester, Esdra e Nehemia (usato nelle Diaspore).

Ebbene, per avere un primo appriccio corretto verso la Scrittura quando si fa ermeneutica, è tenere conto con quale tipo di ebraico abbiamo a che fare quando apriamo le pagine dell’Antico Testamento. Tuttavia, oltre ai 4 tipi di ebraico, bisogna tenere conto anche del genere letterario

2. Genere letterario

I generi letteari della Scrittura sono diversi:

  • Storico;
  • Legalistico/Giuridico;
  • Profetico;
  • Profetico apocalittico;
  • Poetico;
  • Parabolico;
  • etc.

I generi letterari si differiscono l’uno dall’altro e può capitare di incontrarli insieme. Ad esempio, i libri di Ezechiele, Daniele e Zaccaria sono libri profetici, quindi il genere letterario dominante è quello profetico. Ma poiché questi libri biblici rientrono anche nell’apocalittica giudaica, il secondo genere letterario che si può distinguere è, appunto, quello apocalittico. Lo stesso discorso vale anche per l’Apocalisse giovannea.

È sulla base di questi elementi che si può riuscire a capire quando un brano biblico va inteso alla lettera e quando in maniera simbolica. Per avere questo tipo di padronanza di ermeneutica biblica, non solo è consigliabile avere conoscenza dei quattro tipi di ebraico – e sia i dottori sinceri nel mondo cristiano che i rabbini sinceri nel mondo ebraico servono per insegnare proprio queste cose a chi non ha competenze di questo tipo – ma è indispensabile conoscere il linguaggio degli autori biblici. Un conto è saper leggere e tradurre l’ebraico con un dizionario a seguito, un altro conto è avere padronanza del linguaggio ebraico.

3. Mentalità degli autori biblici

Un terzo elemento per applicare una corretta ermeneutica è decifrare la mentalità degli autori biblici. Ricordo che la Bibbia non è stata rivelata in italiano, ma in ebraico e nella mentalità ebraica dei suoi autori. Tuttavia, anche se il Nuovo Testamento che abbiamo oggi viene ricavato dai codici in greco, la mentalità di chi ha scritto queste cose in greco era sempre ebraica. Ciò significa che se parte della Bibbia sia scritta in ebraico e parte di essa sia scritta in greco, la mentalità dominante è comunque quella ebraica, non quella italiana delle nostre traduzioni. Quello che noi leggiamo in italiano, in realtà dobbiamo cercare di capirlo secondo il senso che una mentalità ebraica gli attribuisce nel linguaggio originale.

Ora, in questa sede, non sono in grado di dare istruzioni esaustive per come saper individuare un testo letterale da un testo simbolico. Almeno, queste sono problematiche che si pongono i cristiani non ebrei perché non hanno padronanza del linguaggio ebraico, a meno che lo studiano e allora sanno come approcciarsi alle Scritture.

Il dogma non biblico

Noi cristiani occidentali, nel corso dei secoli, ci siamo autoimposti delle leggi o dogmi su come interpretare la Scrittura, senza tenere conto di come veramente va approcciata. Alla luce di questa affermazione, noi cristiani siamo abituati a dire a noi stessi che la Bibbia è vera, la Bibbia è la verità e tutto quello che è scritto nella Bibbia è realmente accaduto, perché la Bibbia è verità e non può dire bugie.

Noi cristiani ci siamo autoimposti questa regola, dimenticando però che le parabole, come quelle insegnate da Gesù, non sono storie realmente accadute, ma esempi di vita quotidiana dai quali bisogna(va) ricavare insegnamenti etici, morali e spirituali. Le parabole non sono altro che lezioni didattiche. Cosa voglio dire? Voglio dire che la regola del “tutto è vero nella Bibbia” che la cristianità si è inventata (e bisogna vedere in che senso “tutto è vero”) cade in fallo di fronte alle parabole di Gesù stesso, perché le parabole di Gesù erano storie non vere ma appositamente elaborate per insegnare qualcosa ai discepoli. Quindi, le parabole non sono cose realmente accadute, ma aneddoti didattici che servivano per insegnare qualcosa di celestiale, non la storicità dell’aneddoto in sé. Nel momento in cui una parabola non è una storia letterale, di conseguenza non possiamo considerarla letterale, ma carica di simbolismo.

Secondo il principio del “tutto è vero nella Bibbia”, la cristianità post-apostolica ha cominciato ad insegnare che la storia di Giobbe è cronaca vera, quando in realtà da millenni gli ebrei di ogni estrazione sociale e di ogni tipologia di scuola di pensiero hanno da sempre considerato il racconto di Giobbe niente più che una parabola. Il personaggio di Giobbe è storicamente esistito e questo lo dice la stessa tradizione ebraica, ma il libro che gli viene attribuito è una parabola giudaica che il rabbino che l’ha scritta per la prima volta ha voluto indirizzare ai discepoli del suo tempo. Essendo carica di contenuti teologici molto importanti, la parabola di Giobbe è resa parte integrande del canone ebraico prima e cristiano dopo.

Ci sono comunque brani che sono palesemente letterali, come brani palesemente simbolici. Un brano letterale è, ad esempio, il dialogo di Gesù durante l’ultima cena; mentre, un brano simbolico lo riscontiamo indubbiamente in un libro come l’Apocalisse giovannea oppure nelle visioni “apocalittiche” dei profeti come Daniele, Ezechiele e Zaccaria. Ecco, per certe cose non occorre avere propriamente la padronanza dei quattro tipi di ebraico e del linguaggio semitico, ma per altre cose sono necessari questi requisiti.

Finché ci limitiamo a leggere le Scritture in italiano, il nostro retaggio culturale ci indurrà sempre a leggere quelle cose lì secondo il suggerimento che la nostra mentalità ci dà. La NOSTRA mentalità, non quella originale ebraica. Noi cristiani dobbiamo avere la presunzione di invocare la solita “rivelazione dello Spirito Santo” quando certe cose possono essere chiare solo se si conosce il contesto culturale della Bibbia. A volte noi spiritualizziamo così tanto la Bibbia che la facciamo diventare un idolo, sopravvalutando e sopraelevando aspetti che la Bibbia può anche ignorare totalmente.

È giusto credere alla Scrittura nella giusta misura, è giusto dargli per fede tutta l’attendibilità che la fede richiede, ma questo non dev’essere un pretesto per farci diventare dei totali deficienti. Dio ci ha dato un cervello con il quale ragionare; e dirò anche che l’Ecclesiaste insegna un principio molto importante: la ragione è utile per farci capire una cosa molto importante: solo con essa non si va da nessuna parte. Fede e ragione quindi devono camminare insieme, non come certuni che dicono addirittura di “spegnere il cervello” per fare spazio alla fede.

Cosmologia biblica: paradiso e inferno

Quanto al Paradiso e all’Inferno, anche queste due “realtà” vanno capite secondo la mentalità ebraica del tempo in cui vengono menzionate.

L’Antico Testamento ha una visione del paradiso e dell’inferno differente da quello che viene in genere insegnato dalla cristianità post-apostolica in poi. L’Antico Testamento si focalizza sul “mondo a venire”, ovvero quell’epoca futura dove il Messiah governerà per sempre sulla terra. Quindi, il paradiso che intendiamo noi cristiani, e che pensiamo sia collocato da qualche parte in cielo, in realtà sarà sulla terra. Questo è quanto viene esplicato nell’Antico Testamento ed è la speranza stessa dei Patriarchi a cui viene promesso il possesso ETERNO della terra di Canaan. Dio ci ha creati su questa terra e sempre su questa terra vuole che restiamo.

Ora, alla luce di questo anche gli insegnamenti del Nuovo Testamento vanno approcciati tenendo conto di quanto dice l’Antico Testamento, perché Antico e Nuovo Testamento non si contraddicono, non insegnano assolutamente cose diverse, piuttosto si completano a vicenda. L’Antico Testamento dà solo un accenno di quello che invece il Nuovo Testamento esplica con più chiarezza, ma sempre con la stessa mentalità ebraica dei profeti.

L’idea dell’inferno ebraico non ha niente a che vedere con l’idea dell’inferno cristiano. Per il concetto cristiano l’inferno è un luogo reale dove ci sono fiamme reali, per il concetto ebraico invece la geenna è un luogo simbolico con fiamme simboliche che rappresenta l’eterna separazione da Dio. Cioè gli ebrei, immaginando come poteva essere l’eterna separazione da Dio, hanno elaborato un sistema di concetti per rendere comprensibile agli uomini un qualcosa che altrimenti sarebbe incomprensibile. Gli stessi autori biblici che hanno elaborato questi concetti sotto l’ispirazione divina, hanno a loro volta ispirato Maimonide a formulare il detto: “La Scrittura parla la lingua degli uomini”. Se la Scrittura avesse parlato in termini celestiali sarebbe stata incomprensibile. Gesù stesso conosceva molto bene questo concetto, che espone in Giovanni 3:12 come argomento a fortiori: SE VI HO PARLATO DELLE COSE TERRENE E NONCREDETE, COME CREDERETE SE VI PARLERÒ DELLE COSE CELESTI? Il senso ebraico rabbinico di queste parole è: “se vi ho parlato in termini terreni e continuate a non credermi, a maggior ragione non mi crederete se vi parlassi in termini celesti, perché non mi capireste”.

Conclusione

Termino dicendo che se prima non si tiene conto dei 4 tipi di ebraico, dei generi letterari, della storia e cultura biblica, della sua cosmologia e del linguaggio ebraico antico, difficilmente il lettore medio della Bibbia sarà in grado di approcciarsi nel modo corretto alle Scritture. Difficilmente siamo in grado di interpretare senza questi requisiti, perché mancano non delle semplici “basi”, ma delle fondamenta vere e proprie.

Ci sono determinate cose che solo Dio può rivelare, ma per altre cose lo Spirito Santo non può intervenire, non perché non è in grado, ma perché non è parte della sua competenza rivelare cose che riguardano usi, costumi e tradizioni.

3 Risposte a “Cosa è simbolico e cosa è letterale della Scrittura?”

  1. Della serie che: siccome la realtà dei fatti non la conosce nessuno, voi trovate corretto dire che Biglino spara cavolate. Ehhh cosa fanno i dogmi alla gente. Caspita, l’onestà intellettuale non è cosa per tutti. Creduloni.

  2. Bellissimo post, condivido pienamente quello che hai scritto, grazie di averlo condiviso con noi.

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