Archeologia e l’Antico Testamento

Un uomo con una frusta che indossa un giubbotto di pelle e un cappello, avvolge un pezzo di stoffa strappata intorno ad un vecchio osso, lo mette sul fuoco e lo usa come una torcia per vedere la sua strada attraverso antichi tunnel pieni di ossa secche, ratti, insetti di ogni tipo a caccia di un Tesoro nascosto. Dietro quest’uomo c’è il classico cattivo, pronto a balzare sul tesoro dopo che l’eroe ha fatto tutto ciò che occorreva per scampare dalle insidie dei pericoli. Abbiamo visto questo tipo scenario o altri simili nei film come Indiana Jones o La mummia. Anche se ci rendiamo conto del fatto che Hollywood esagera e drammatizza ogni situazione, rimane ancora un dato di fatto che la ricerca degli antichi manufatti emoziona grandi e piccini. Trovare le cose lasciate dalla gente del passato è emozionante perché una piccola finestra della loro vita si apre a noi del presente. Quando troviamo una punta di freccia ci viene ricordato che gli antichi indiani usavano archi e frecce per cacciare e combattere. La scoperta di un vecchio pezzo di ceramica ci dice qualcosa sulla vita quotidiana di queste antiche culture. Ogni piccolo artefatto dà alla persona moderna una visione più completa della vita nel passato.

A causa del valore intrinseco dell’archeologia, molti si sono rivolti ad essa per cercare di rispondere ad alcune domande sul passato. Una delle domande più frequentemente poste è: le cose registrate nella Bibbia sono realmente accadute? A dire il vero, l’archeologia non può (o non sa ancora) rispondere sempre a questa domanda. Non c’è materiale archeologico che possa provare l’ascensione di Elia, oppure senza artefatti fisici dimostrare che Cristo abbia realmente camminato sulle acque. Quindi, se chiediamo all’archeologia di “dimostrare” che tutta la Bibbia sia vera o falsa, ci troviamo di fronte al fatto che l’archeologia non può né dimostrare né confutare tutta la validità della Bibbia. Tuttavia, anche se non si può definitivamente dimostrare la veridicità della Bibbia in ogni caso, l’archeologia è tuttavia in grado di fornire importanti pezzi del passato che costantemente comprovano l’accuratezza storica e fattuale della Bibbia. Il corposo articolo di oggi, in completamento all’articolo precedente sull’Archeologia e il Nuovo Testamento, è appositamente progettato per portare alla luce una piccola frazione dei significativi reperti archeologici che sono stati assai essenziali nel fortificare il testo biblico dell’Antico Testamento.

archeologia antico testamento

Ezechia e Sennacherib

Quando Ezechia salì al trono di Giuda, lo ha fatto in condizioni estremamente penose. Suo padre Achaz era si era rivolto agli déi di Damasco, distruggendo gli articoli all’interno della Casa del Signore e chiudendo le porte del Tempio del Signore. Inoltre, ha creato luoghi alti «in ogni singola città» dove egli ha sacrificato e ha offerto incenso ad altri déi (2Cro 28:22-27). Il popolo di Giuda seguiva Achaz, e, di conseguenza, la Bibbia registra che «Yahwéh aveva umiliato Giuda a causa di Achaz, re d’Israele, perché aveva rotto ogni freno in Giuda, e aveva commesso ogni sorta d’infedeltà contro Yahwéh» (2Cro 28 : 19).

Su questo trono molto travagliato, il re Ezechia cominciò a governare alla giovane età di appena venticinque anni. Regnò per i successivi ventinove anni e il Testo dichiara che egli «fece ciò che è giusto agli occhi di Yahwéh, proprio come aveva fatto David suo padre» (2Cro 29:2). Tra le altre riforme, Ezechia riaprì il Tempio, ristabilì l’osservanza della Pasqua e nomino dei Sacerdoti con l’icarico di ricevere le decime e amministrare i propri doveri nel Tempio. Dopo aver completato queste riforme, la Scrittura afferma che «dopo queste cose e questi atti di fedeltà di Ezechia, Sennacherib, re d’Assiria, venne in Giuda, e cinse d’assedio le città fortificate, con l’intenzione d’impadronirsene» (2Cro 32:1).

È qui che ci rivolgiamo al record secolare di storia per scoprire che la nazione potente l’Assiria, sotto il regno del re Sargon II, aveva sottomesso molte regioni in Palestina e intorno ad essa. Alla morte di Sargon, scoppiò una rivolta all’interno dell’impero assiro. Sennacherib, il nuovo re assiro, era determinato a mantenere una solida conoscenza sui sue suoi vassalli statali, il che significava che sarebbe stato costretto a invadere le città di Giuda se Ezechia avesse continuato a sfidare la forza di Assiria.[1] Sapendo che Sennacherib non sarebbe rimasto a guardare il suo impero crollare, il re Ezechia cominciò ad organizzare i preparativi per l’invasione. Una delle preparazioni che ha fatto è stata quella di fermare l’acqua delle sorgenti che correvano fuori di Gerusalemme per reindirizzare l’acqua nella città attraverso un tunnel. Il secondo libro dei Re (20:20) registra la costruzione del tunnel con queste parole: «Il rimanente delle azioni di Ezechia, tutte le sue prodezze, e la costruzione del serbatoio e dell’acquedotto per portare l’acqua in città, sono cose scritte nel libro delle Cronache dei re di Giuda».
Vista interna del Tunnel di Ezechia che mostra il lo spessore del attraverso il quale i lavoratori hanno dovuto scavare. Fonte: Todd Bolen (www.BiblePlaces.com).
Vista interna del Tunnel di Ezechia che mostra lo spessore del attraverso il quale i lavoratori hanno dovuto scavare. Fonte: Todd Bolen (www.BiblePlaces.com).

Il testo biblico di 2Cro 32:30 sostanzia ulteriormente la costruzione del tunnel con questo commento: «Ezechia fu colui che turò la sorgente superiore delle acque di Ghion e le convogliò giù direttamente attraverso il lato occidentale della città di David. Ezechia riuscì felicemente in tutte le sue imprese» Il tunnel – conosciuto oggi come «tunnel di Ezechia» – resta come una delle preminenti attestazioni archeologiche al Testo biblico. Intagliato attraverso il solido calcare, il tunnel si snoda in una forma a S sotto la città di Gerusalemme per una lunghezza di circa 550 mt. Nel 1880, due ragazzi nuotarono presso il sito scoprendo una iscrizione (a circa 6 mt dall’uscita) che ha fornito i dettagli rigorosi su come il tunnel era stato costruito:

«[…] e questo è stato il racconto della svolta. Mentre gli operai stavano ancora lavorando con le loro decisioni ognuno verso l’altro, e mentre c’erano ancora tre cubiti da essere sfondati, la voce di ciascuno di loro è stata sentita chiamare dall’altro, perché c’era una crepa (o divisione o sovrapposizione) tra la roccia da sud a nord. E al momento della svolta, i lavoratori molto colpiti fra di loro, presero la loro decisione. Poi l’acqua scorreva dalla sorgente alla piscina per 1.200 cubiti. E l’altezza della roccia sopra le teste degli operai era di 100 cubiti»[2]

Dell’iscrizione, John Laughlin ha scritto che è «una delle più importanti, tra le più famose, iscrizioni mai trovate in Giuda».[3] Per inciso, poiché la lunghezza del tunnel era di circa 550 mt e la scritta segnato nel tunnel è di «1.200 cubiti» (548 mt circa!!!), gli archeologi hanno ottenuto una buona indicazione che il cubito era di circa 45cm al tempo di re Ezechia.[4] Scavato al fine di mantenere un rifornimento costante di pompaggio dell’acqua per Gerusalemme durante l’assedio anticipato da Sennacherib, il tunnel di Ezechia si pone come una forte testimonianza per la precisione del record storico biblico di 2Re e 2Cronache.

L'iscrizione di Siloam commemora lo scavo del tunnel di Ezechia. Museo Archeologico, Istanbul, Turchia. Fonte: Erich Lessing / Art Resource, NY.
L’iscrizione di Siloam commemora lo scavo del tunnel di Ezechia. Museo Archeologico, Istanbul, Turchia. Fonte: Erich Lessing / Art Resource, NY.

Oltre al tunnel di Ezechia, altre testimonianze archeologiche straordinariamente dettagliate fornisce un record eccezionale di alcuni degli eventi in quanto dispiegato tra Ezechia e Sennacherib. Molte delle informazioni che abbiamo proviengono dalla famosa Taylor Prism. Questo affascinante artefatto d’argilla a sei facce si erge a circa 40cm, ed è stato trovato a Ninive nel 1830 dal colonnello inglese R. Taylor. Così, è noto come il «Taylor Prism». Il prisma contiene sei colonne rivestite da oltre 500 linee di scrittura, ed è stato acquistato durante l’inverno del 1919-1920 da J.H. Breasted per l’Istituto Orientale di Chicago.

Parte del testo che si trova sul «Taylor Prism» parla di Sennacherib circa l’accaduto nel suo tour militare di Giuda.

«Riguardo a Ezechia, l’Ebreo, egli non si è presentato a mio giogo, ho posto l’assedio a 46 delle sue città, fortezze murate e agli innumerevoli piccoli paesi nelle loro vicinanze, e conquistai (loro) per mezzo di rampe e arieti (quindi), vicino (alle mura) (in combinazione con) l’attacco dei soldati a piedi, (usando) miniere, calzoni così come il lavoro Sapper. Ho guidato 200,150 persone, giovani e vecchi, uomini e donne, cavalli, muli, asini, cammelli, grandi e piccoli di bestiame al di là del conteggio, e considerato (il loro) bottino. Ho fatto prigioniera Gerusalemme, la sua residenza reale, come un uccello in gabbia. L’ho circondata con un terrapieno al fine di molestare coloro che partivano alla porta della città»[5]

Almeno due fatti di monumentale rilevanza risiedono nella dichiarazione di Sennacherib. In primo luogo, l’attacco di Sennacherib sulle città periferiche di Giuda trova un parallelo diretto in 2Cronache 32:1: «[…] Sennacherib, re d’Assiria, venne in Giuda, e cinse d’assedio le città fortificate, con l’intenzione d’impadronirsene». La città fortificata più degna di nota che il despota assiro ha assediato e catturato era la città di Lachis. In secondo luogo, Sennacherib non menziona mai che conquistò Gerusalemme.

Lachis sotto assedio

Gli assiri mentre attaccano la città fortificata ebrea di Lachis. Parte di un bassorilievo del palazzo di Sennacherib a Ninive. British Museum, Londra. Fonte: Erich Lessing / Art Resource, NY.
Gli assiri mentre attaccano la città fortificata ebrea di Lachis. Parte di un bassorilievo del palazzo di Sennacherib a Ninive. British Museum, Londra. Fonte: Erich Lessing / Art Resource, NY.

Quando ci rivolgiamo al racconto biblico circa l’invasione palestinese di Sennacherib in 2Re 18, apprendiamo che egli aveva avanzato contro «tutte le città fortificate di Giuda» (v.4). In una di quelle città, Lachis, il re Ezechia inviò del denaro in tributo con il tentativo di placare l’ira degli assiri. Il testo afferma che «Ezechia, re di Giuda, mandò a dire al re d’Assiria a Lachis: “Ho sbagliato; ritìrati, e io mi sottometterò a tutto quello che m’imporrai”. Il re d’Assiria impose a Ezechia, re di Giuda, trecento talenti d’argento e trenta talenti d’oro» (v.14). Di Lachis, Sennacherib ha chiesto 300 talenti d’argento e 30 talenti d’oro che Ezechia ha prontamente pagato. Non contento, però, il sovrano assiro inviò «il generale in capo, il capo delle guardie e il gran coppiere con un grande esercito» (v.17), nel tentativo di spaventare gli abitanti di Gerusalemme e farli arrendere. Lo sforzo non è riuscito così «Rabsaché tornò dal re d’Assiria, e lo trovò che assediava Libna; poiché aveva saputo che il suo signore era partito da Lachis» (19:8). Dal racconto biblico, poi, vi sono scarse informazioni sulla battaglia d’assedio di Lachis, dicendo  solo che Sennacherib era lì, posto d’innanzi alla città (2Cro 32:9), e che ritorno a Libna solo al completamento del suo assedio.

Dagli archivi storici di Sennacherib, però, abbiamo un resoconto molto più completo degli eventi che circondano Lachis. Il monarca assiro, considerando la propria vittoria su Lachis, ha dedicato un’intera parete (quasi 22mt lineari) del suo palazzo a Ninive per scolpirvi dei rilievi raffiguranti l’evento.Nel 1840 circa, noto archeologo inglese Henry Layard ha iniziato vasti scavi nelle rovine dell’antica Ninive. Ha pubblicato le sue scoperte iniziali in una colossale opera best-seller intitolata Nineveh and its Remanis, e in una trilogia successiva: The Monuments of Nineveh (1849), Inscriptions in the Cuneiform Characters (1851) e Discoveries in the Ruins of Nineveh (1853). Dal momento che le prime scoperte di Layard ebbero luogo, gli archeologi hanno individuato e identificato migliaia di manufatti provenienti da almeno tre diversi palazzi. I resti dell’antica Ninive si trovano in due tumuli sulle sponde opposte del fiume Hawsar. Uno dei tumuli, noto come Kouyunjik Tepe, conteneva i resti dei palazzi di Esarhaddon e Assurbanipal. L’altro tumulo, Nebi Younis, contiene le reliquie del palazzo di Sennacherib. Questi palazzi sono stati costruiti su piattaforme rialzate alte circa 23mt.

Uno dei reperti più importanti rinvenuti tra le rovine di Ninive è stato il rilievo murario raffigurante la sconfitta di Sennacherib a Lachis. Lo studioso Ephraim Stern ha offerto un’eccellente descrizione degli eventi descritti nel rilievo:

«La scena principale mostra l’attacco alla porta della parete di Lachis. La sporgente porta della città è rappresentta nei minimi dettagli, con le sue merlature e il suo speciale rinforzo da una sovrastruttura di scudi da guerra. Gli arieti vengono spostati su rampe appositamente costruite coperte da tronchi di legno. Erano “prefabbricati”, macchine turrite a quattro ruote. La scena mostra vividamente il frenetico comattimento di entrambe le fazioni: assalitori e difensori nella fase finale della battaglia»[6]

Bassorilievo situat o nel palazzo di Sennacherib raffigurante i guerrieri assiri mentre impalano i prigionieri ebrei. British Museum, Londra. Fonte: Erich Lessing/Art Resource, NY.
Bassorilievo situato nel palazzo di Sennacherib raffigurante i guerrieri assiri mentre impalano i prigionieri ebrei. British Museum, Londra. Fonte: Erich Lessing/Art Resource, NY.

Stern ha anche discusso i tizzoni ardenti che i difensori di Lachis lanciarono ai loro aggressori, i lunghi pali, strumenti simili utilizzati per divinare il fronte degli arieti quando venivano dati alle fiamme, gli arcieri e le truppe d’assalto con le lance. Una delle caratteristiche più sorprendenti del bassorilievo è la rappresentazione delle torture inflitte agli abitanti di Lachis. Diversi prigionieri sono raffigurati mentre vengono impalati, mentre le donne e i bambini della città vengono condotti altrove. L’epigrafe che ha accompagna il rilievo suggerisce quanto segue: «Sennacherib, re del mondo, re d’Assiria, sedeva su un nimedu/trono e passò in rassegna il bottino da Lakis (La-ki-su)»[7]

Di ulteriore interesse è il fatto che gli scavi archeologici effettuati presso la città di Lachis confermano i dettagli del bassorilievo di Sennacherib. Ampi scavi archeologici di Lachis avvenuti tra il 1935 e il 1938 dagli inglesi, e di nuovo tra il 1973 e il 1987 sotto la guida dell’archeologo israeliano David Ussishkin e altri, hanno rivelato un tesoro di artefatti, ognuno dei quali si adatta agli eventi rappresentati da Sennacherib. Per quanto riguarda l’assedio assiro di Lachis, William Dever ha osservato:

«La prova di esso è tutta lì: l’enorme rampa d’assedio gettata addosso alle mura della città a sud del cancello; la doppia linea di mura difensive, ascendente e discendente; gli arieti assiri ferrati che violano le mura della città nel punto più alto; la distruzione di massa all’interno della città caduta […] Praticamente, tutti i dettagli dei rilievi assiri confermati dall’archeologia […] hanno portato alla luce che le mura della città erano doppie; la rampa d’assedio molto complessa era equipaggiata con centinaia di punte di freccia in ferro e pietra rivolta contro la rampa all’interno della città; il cancello distrutto, coperto da un massimo di 6 piedi di detriti di distruzione; enormi massi dalla parete della città, quasi bruciati a calce e cadute in fondo»[8]

L’assedio del monarca assiro di Lachis è documentato dal testo biblico, e la distruzione della città è corroborata dalla scultura massiccia dedicata all’evento nel palazzo di Sennacherib a Ninive, così come i manufatti reali si trovano nello strato III a Lachis.

Gerusalemme resta forte

Di particolare interesse per la descrizione di Sennacherib circa la sua conquista palestinese è il fatto che non ha mai menzionato il sequestro della città di Gerusalemme. Sul “Taylor Prism” troviamo gli scritti sulla sua conquista delle 46 città periferiche, oltre a «forti murate» e «innumerevoli piccoli villaggi». In realtà, abbiamo anche letto che Ezechia era rinchiuso a Gerusalemme come un prigioniero, ovvero «come un uccello in gabbia». È registrato anche che Ezechia inviò molti omaggi a Sennacherib alla fine della campagna. Ciò che non è registrato, invece, è l’elenco del bottino che è stato confiscato dalla capitale di Giuda. Né vi è un inventario di prigionieri indicati nel testo del “Taylor Prism”. In effetti, si potrebbe pensare che se la città di Lachis meritava tanta attenzione da parte del dittatore assiro, la capitale di Giuda avrebbe meritato ancora più attenzioni ed interesse.

Ciò che troviamo, tuttavia, è il silenzio completo circa la cattura della città. Hershel Shanks, autore di Jerusalem: An Archaeological Biography, ha scritto: «[…] anche se non sappiamo con certezza cosa abbia rotto l’assedio, sappiamo che gli israeliti riuscirono a resistere».[9]

Il testo biblico, tuttavia, offre la risposta a questo enigma storico. Grazie alla fedeltà di Ezechia verso Yahewéh, Egli offrì la Sua assistenza divina per il re della Giudea. Nel libro di Isaia, il Profeta viene inviato a Ezechia con un messaggio di speranza. Isaia ha informato Ezechia che Dio avrebbe bloccato l’accesso alla città a Sennacherib, poiché Ezechia pregò Yahwéh di ricevere aiuto da Lui. In Isaia 37:36, il testo afferma: «Il Malàk di Yahwéh uscì e colpì, nel campo degli Assiri, centottantacinquemila uomini; e quando la gente si alzò la mattina, eccovi tanti cadaveri». Sennacherib non poteva vantarsi della sua vittoria sulla città di Gerusalemme perché non c’è stata nessuna vittoria! Yahwéh aveva liberato la città dalla sua mano. Inoltre, come ha osservato Dever: «Finalmente, documenti assiri dimostrano che Sennacherib morì successivamente per mano di assassini, i suoi stessi figli».[10] Luckenbill registra l’iscrizione effettiva dalle cronache di Esarhaddon che descrivono l’evento con queste parole:

«Nel mese Nisanu, in una giornata favorevole, rispettando il loro comando, ho fatto il mio ingresso gioioso nel palazzo reale, un luogo stupendo, in cui dimora la sorte dei re. La ferma volontà cadde su i miei fratelli. Abbandonarono gli déi e si rivolse verso di loro con atti di violenza tramanti il male […] Per ottenere il regno hanno ucciso Sennacherib, il loro padre»[11] (Luckenbill 1989, 2: 200-201).

Questi eventi e manufatti circostanti Ezechia, Sennacherib, Lachis e Gerusalemme ci offrono una visione sorprendente sul rapporto tumultuoso tra il Giuda e i suoi vicini. Questi fatti forniscono anche un eccellente esempio di come l’archeologia sostanzia perfettamente il racconto biblico.

Il singificato delle “bolle”

Gli antichi israeliti utilizzavano supporti diversi per registrare le loro informazioni. Tra i più popolari vi sono i rotoli di papiro e pelle. Quando uno scriba aveva completato la scrittura delle sue informazioni in un libro, che spesso sarebbe stato arrotolato in un papiro o pelle a forma di cilindro e legarto in modo sicuro con una stringa. Per sigillare la stringa in modo ancora più sicuro, e per indicare l’autore o il mittente del rotolo, un cordone di argilla soffice (o cera morbida o metallo morbido) veniva posto sopra la stringa del rotolo. Con qualche tipo di dispositivo di stampaggio, dell’argilla veniva pressata saldamente sul nodo, lasciando una scritta sulla creta. Questi sigilli di creta/argilla sono conosciuti come bolle (la forma plurale della parola bulla). Nel corso dei molti anni degli scavi archeologici, sono state scoperte centinaia di queste bolle. La The Archaeological Encyclopedia of the Holy Land offre un ampio elenco di bolle rinvenute: 50 in Samaria nel corso del 1930; 17 a Lachis nel 1966; 51 a Gerusalemme negli scavi condotti da Yigal Shiloh; 128 nel 1962 si trovavano nella cava di Wadi Ed-Daliyeh, e un grande nascondiglio di 2000 bolle venne rinvenuto nel 1998 a Tel Kadesh.

A sinistra, una bolla con una iscrizione ebraica in un'impressione leggermente ovale. Sulla destra, un sigillo/timbro con il nome del proprietario o scriba. Fonte: Il Schøyen Collection MS 1912 e MS 5160/1.
A sinistra, una bolla con una iscrizione ebraica in un’impressione leggermente ovale. Sulla destra, un sigillo/timbro con il nome del proprietario o scriba. Fonte: Il Schøyen Collection MS 1912 e MS 5160/1.

La maggior parte delle bolle scoperte sono piuttosto piccole, come dei timbri di forma ovale in argilla che contengono il nome del mittente del documento (oppure, occasionalmente, del padre di questa persona), il titolo o l’ufficio del sigillante, e/o un’immagine di una qualche altra rappresentazione artistica o animale. Una delle cose più interessanti circa la bolle che sono state scoperte è il fatto che alcuni nomi trovati fra i sigilli d’argilla corrispondono con alcuni nomi biblici. Ad esempio, Yigal Shiloh ha realizzato un grande scavo nella città di Gerusalemme. Nel 1982, in un palazzo della zona G di Gerusalemme, egli ha scoperto un nascondiglio di 51 bolle. A motivo di queste iscrizioni sull’argilla, l’edificio è conosciuto nei circoli archeologici come la “Casa delle bolle”. Questo edificio è stato bruciato durante la distruzione babilonese di Gerusalemme nel 586 a.C. Purtroppo, l’intenso calore degli incendi ha bruciato tutti i rotoli di cuoio e di papiro. Eppure, anche se ha distrutto i rotoli, lo stesso fuoco ebbe modo di cuocere le bolle d’argilla permettendo una loro perfetta conservazione.

Un bolla interessante, e probabilmente la più famosa, è collegata al segretario di Geremia-Baruch. Hershel Shanks, l’editor di Biblical Archaeology Review, ha dato un resoconto dettagliato di un punto di riferimento di oltre 250 bolle. Nel mese di ottobre del 1975, le prime quattro bolle sono state acquistate da un antiquario a Est di Gerusalemme. Il commerciante ha preso queste bolle da Nachman Avigad, un israeliano esperto di antichi sigilli alla Hebrew University. Sempre più bolle accostate alla scrivania di Avigad si sono adattate con le altre. In più di una occasione, il frammento di una raccolta si adatterebbe con un frammento corrispondente ad una raccolta di un altro proprietario. In ultima analisi, Yoav Sasson, un collezionista di Gerusalemme, ha acquistato circa 200 di queste bolle, e Reuben Hecht ne ottenne 49 pezzi.

I nomi di due di queste bolle hanno affascinato il mondo archeologico per diversi decenni. Su una delle bolle, il nome di «Berekhyahu figlio di Neriyahu lo scriba» è chiaramente impressionato. Shanks ha scritto riguardo a questa iscrizione: «Il suffisso comune – yahu negli antichi nomi ebraici, in particolare in Giuda, è una forma di Yahweh. Baruch significa “il benedetto”. Berekhyahu significa “benedetto dal Signore”. Una forma equivalente a yahu è  yah, tradizionalmente reso come “-iah” nelle nostre traduzioni inglesi. Neria è in realtà Neri-yah o Neriyahu. Ottanta dei 132 nomi rappresentati nel tesoro (tanti nomi appaiono più di una volta sulle 250 bolle) comprendono l’elemento teoforico – yahu».[12] Shanks (insieme al consenso generale degli archeologici) ha concluso che la bolla apparteneva a Baruch, lo scriba del Profeta Geremia. In Geremia 36:4 il testo recita: «Allora Geremia chiamò Baruch, figlio di Neria, e Baruch scrisse in un rotolo da scrivere, a dettatura di Geremia, tutte le parole che Yahwéh aveva dette a Geremia». Il nome sulla bolla corrisponde bene con il nome di Geremia. Per quanto riguarda la bolla, Hoerth ha scritto: «Questo pezzo di argilla […] usato per chiudere un documento di papiro, è stato sigillato da niente meno che da “Baruch, figlio di Neria” (Ger 36:4). Il nome di Baruch porta una sigla come suffisso per Dio, che indica che il suo nome completo significa “benedetto di Dio”».[13]

Per avvalorare la prova che questa iscrizione appartiene davvero al Baruch biblico, un’altra delle iscrizioni di una bolla nella cache, documenta il titolo «Yerahme’el, figlio del re». Questo nome corrisponde al figlio del re Ioiachim «che è stato inviato nella missione senza successo di arrestare Baruch e Geremia». Infatti, il testo biblico così recita: «Il re ordinò a Ierameel, figlio del re, a Sesaia figlio di Azriel, e a Selemia figlio di Abdeel, di arrestare Baruch, segretario, e il profeta Geremia. Ma Yahwéh li nascose» (Ge 36:26). Nel commentare la bolla, Amihai Mazar, che è tra i più noti archeologi, ha dichiarato per quanto riguarda Ierameel figlio del re, che: «Presumiamo che [egli] fosse il figlio di Ioiachim a fare arrestare Geremia (Geremia 36:26)». Un’altra bolla conteneva il titolo di «Elishama, servo del re». E in Geremia 36:12, il testo citato un certo «Elishama lo scriba». Mentre il professore Avigad pensa che sarebbe una connessione dubbia, egli ritiene che il testo biblico non cita il titolo di «servo del re» (a causa del suo prestigio), Shanks ha commentato: «Non bisogna rifiutare l’identificazione così facilmente».[14]

Uno dei nomi incisi su una bolla è il nome ebraico  «Gemaryahu [Ghemariah] figlio di Safàn»: «Questo nome, che appare un paio di volte nel libro di Geremia, era il nome dello scriba che ha servito nella corte di re Ioiachim». (1998, p.235). Il testo di Geremia 36:10 dice che il segretario di Geremia, Baruch, leggere dalle parole del profeta «nella camera di Ghemaria figlio di Safàn lo scriba». È anche interessante notare che Ghemaria era uno scriba, che era in grado di realizzare delle bolle. Anche tra la collezione dalla “Casa delle bolle” c’è una bolla sigillato con il nome «Azaryahu figlio di Hilqiyahu», un nome che corrisponde facilmente con Azaria, figlio di Chelkia trovato in 1Cronache 9:10-11.

Abbiamo poi, tra questo insieme di bolle fenomenali (che risalgono al tempo degli eventi nel libro di Geremia), due nomi e titoli che corrispondono in maniera quasi del tutto identica a Baruch, figlio di Neria, più Jerahmeel, figlio di Ioiakìm, e un terzo, Elishama, il cui nome appare in Geremia 36. Cosa si vuole dimostrare con ciò? Mentre è vero che molti uomini nell’antico Israele potrebbero essersi chiamati Baruch o Ierameel, diventa quasi assurdo pensare che queste bolle corrispondono “casualmente” in mniera perfetta con i resoconti del testo biblico. Tale evidenza indica una schiacciante prova per l’accuratezza del testo biblico e la sua attendibilità storica. Per lo meno, queste scoperte dimostrano che questi nomi biblici sono autentici per il periodo di tempo in cui risalgono.

Stele Moabita – Stele di Mesha

Questa stele viene citata persino da Mauro Biglino nel suo ultimo libro La Bibbia non parla di Dio, per cercare di screditare la figura di Yahwéh, mentre indirettamente dimostra l’attendibilità storica dei resoconti biblici. È vero che scrivere di una pietra scoperto quasi 150 anni fa, certamente non si adatterebbe in una corrente di “novità” da annunciare. In effetti, tanto è stato scritto su questa pietra dal 1868 a oggi (Biglino è uno dei tanti). Ma, la verità della questione è che, anche se è stata scoperto più di un secolo fa, molte persone non sanno nemmeno che esiste, e, quindi, bisogna che venga ulteriormente ricordato la sua importanza.

stele di meshaLa scoperta è conosciuta come la Stele Moabita o Stele di Mesha, da quando è stato scoperto essere scritta da Mesha, re di Moab. Un missionario di nome F.A. Klein scoprì la pietra nel mese di agosto del 1868. Quando inizialmente vide la pietra di basalto nero, misurava circa 106 cm di altezza e largo 61 cm. Dopo aver appreso della scoeprta di Klein, uno studioso francese di nome Clermon-Ganneau copiò otto linee dalla pietra. Egli ha l’impressione che vi sia una scrittura sulla sua superficie. Per ricopiare la scritta mise un pezzo umido di carta sopra la pietra, che poi mantenne la forma dell’iscrizione impressa quando si asciugò. Da quel punto, i dettagli che circondano la pietra non sono così chiari. A quanto pare (per ragioni sconosciute), gli arabi che erano in possesso della pietra decisero di distruggerla. Alcuni suggeriscono invece che gli arabi abbiamo pensato che la pietra fosse un talismano religioso di qualche tipo, oppure che avessero potuto ricavarci molto denaro vendendola in pezzi “da collezione”. Tuttavia, LeMaire sostiene che queste ragioni sono “apocrife”, e suggerisce che gli arabi la distrussero perché odiavano gli ottomani, che stavano tentando di impadronirsene. Riscaldandola con il fuoco e versandovi poi acqua fredda su di essa, si è riusciti a rompere la pietra in vari pezzi. I pezzi finirono per essere dispersi, ma alla fine circa due terzi della pietra originale finirono per essere trasferiti. Attualmente risiedono al Louvre di Parigi.

L’iscrizione scritta sulla pietra fornisce una prova eccezionale che dimostra l’accuratezza della Bibbia. Mesha incise la pietra intorno all’850 a.C. in cui mise in relazione le sue numerose conquiste e il suo riacquisto di alcuni territori che erano controllati da Israele. Nel testo, in 30 linee (composto da circa 260 parole), Mesha dice che Omri era il re d’Israele, che aveva oppresso Moab, ma poi Mesha dice di aver «visto il suo desiderio» sul figlio di Omri e sulla «sua casa». Mesha ha scritto:

«Io sono Mesha, figlio di Kemosh […], re di Moab, il Dibonite – mio padre [ebbe] regnato su Moab per trent’anni, e ho regnato dopo che mio padre – (che) ha fatto questo alto luogo per Kemosh in Qarhoh […] perché mi ha salvato da tutti i re e mi ha fatto trionfare su tutti i miei avversari. Per quanto riguarda Omri, re d’Israele, umiliò Moab [per] molti anni (letteralmente, giorni), perché Kemosh era arrabbiato con la sua terra. E suo figlio lo seguì e ha anche detto, “Io umile Moab”. Nel mio tempo ha parlato (quindi), ma ho trionfato su di lui e sulla sua casa, mentre Israele perì per sempre»[15]

La Stele di Mesha cita Omri come il re d’Israele, così come fa anche 1Re 16:21-28. Inoltre, si parla di Achab, figlio di Omri, in stretta connessione con i Moabiti, così come fa anche 2Re 3:4-6. Inoltre, sia la Stele che 2Re 3:4-6 dicono di Mesha essere il re di Moab. Più tardi, nell’iscrizione, gli ulteriori nomi citati dalla Stele identificano la tribù israelita di Gad e il Dio d’Israele, Yahwéh. Mentre i riferimenti ai re d’Israele sono piuttosto notevoli in sé e per sé, Pritchard ha sottolineato che questo riferimento al Dio biblico anticotestamentario è uno dei pochi che sono stati trovati al di fuori della Palestina.[16]

Un’altra caratteristica importante della Stele è il fatto che essa «ha dato la soluzione di una questione che era rimasta senza risposta per secoli». Il record biblico racconta della sottomissione moabita sotto il re David e Salomone, e come Moab si liberò all’inizio del regno diviso. Tuttavia, la Bibbia menziona anche (2Re 3:4) che Acab riceveva tributo da Moab. Come Alfred Hoerth ha osservato: «Da nessuna parte la Bibbia dice che Moab fu tributata […] La Stele moabita prevede che le informazioni date siano redatte solo dal punto di vista moabita».

Alla fine della porzione dell’iscrizioen di Mesha («mentre Israele perì per sempre»), è ovvio che Mesha esagerò troppo l’efficacia della sua conquista, una pratica comune tra gli antichi re. Pritchard ha osservato che gli storici concordano sul fatto che «i cronisti Moabiti tendevano generalmente, e comprensibilmente, ad ignorare le proprie perdite e battute d’arresto». Le prove suggerite da Free e Vos citando le opere di John D. Davies e S.L. Caiger offrono un’armonizzazione del testo moabita con il racconto biblico. Davies, dell’Università di Princeton, ha osservato con precisione che «Mesha non è in alcun modo in contraddizione, piuttosto integrare involontariamente il racconto ebraico».[17]

Come ulteriore punto di interesse, lo studioso francese André LeMaire, in un ampio articolo in Biblical Archaeology Review «ha identificato la lettura del nome David in una linea già illeggibile – “Casa di D…” – sulla Stele di Mesha (o Stele moabita)».[18] Se questa identificazione sia precisa o meno è ancora da verificare per consenso dello stesso studioso. Anche gli studiosi liberali Finkelstein e Silberman, tuttavia, hanno riconosciuto l’identificazione di Lamaire, insieme con l’iscrizione di Tel Dan che documentano la casa di David, e hanno concluso: «Così, la casa di David era conosciuta in tutta la regione; questo convalida chiaramente la descrizione biblica di una figura di nome David come il fondatore della dinastia dei re giudaiti a Gerusalemme».[19]

Nel suo insieme, la pietra moabita rimane uno dei pezzi più impressionanti di prove che dimostrano l’accuratezza storica dell’Antico Testamento. E, anche se questo ritrovamento è avvenuto quasi 150 anni, «parla ancora» a noi, oggi (Eb 11:4).

Il cilindro di Ciro

cilindro di ciroCiro, il re dell’Impero medo-persiano, è tra i più importanti dominatori stranieri della nazione d’Israele. In realtà, molte profezie dell’Antico Testamento ruotano intorno a questo monarca. Il Profeta Isaia ha documentato che l’impero babilonese sarebbe caduto ai Medi e ai Persiani (Is 13; 21:1-10). Non solo Isaia ha dettagliato il particolare dell’impero a cui i Babilonesi sarebbero caduti, ma ha anche chiamato per nome “Ciro” (Is 44:28; 45:1-5). Sorprendentemente, la profezia di Isaia è stata pronunziata circa 150 anni prima della nascita di re Ciro (Isaia profetizzò intorno al 700 a.C., Ciro, invece, conquistò Babilonia nel 539 a.C.). Per aggiungere importanza a Ciro, Isaia predisse che egli avrebbe agito come Yahwéh, infatti, il Profeta ha registrato queste parole di Yahwéh riguardo al “pastore Ciro”: «Io dico di Ciro: “Egli è il mio pastore; egli adempirà tutta la mia volontà, dicendo a Gerusalemme: “Sarai ricostruita!” e al Tempio: “Le tue fondamenta saranno gettate» (Is 44:28).

Nel 1879, Hormuz Rasam trovò un piccolo cilindro di argilla (lungo circa 23 cm, e ora situato al British Museum) nella antica città di Babilonia. In questo cilindo di argilla, re Ciro aveva scritto, tra le altre cose, la sua vittoria sulla città di Babilonia e la sua politica verso le nazioni che aveva conquistato, così come la sua politica verso i loro vari déi e le religioni. Price ci ha suggerito la traduzione di un segmento del testo cuneiforme trovato sul cilindro:

«[…] Sono tornato in [questa] città sacra dall’altra parte del Tigri, i santuari dei quali sono stati in rovina per un lungo periodo di tempo, le immagini che [utilizzava] per vivere e in esse stabilite e per i loro santuari permanenti. Ho [anche] raccolto tutti gli [ex] abitanti e tornai [da loro] alle loro abitazioni. Inoltre, li ho reinsediati sul comando di Marduk, il grande signore, tutti gli déi di Sumer e di Akkad ai quali Nabonedo ha portato Babilonia alla rabbia del signore degli déi, illeso, nelle loro [ex] cappelle e i luoghi. Possano tutti gli déi che ho reinsediati nelle loro città sacre chiedere quotidianamente Bel e Nebo per la lunga vita per me e possano raccomandarmi […] a Marduk, mio ​​signore, può dicono così: “Ciro, il re che Cambise adora, suo figlio, […] tutti loro mi hanno sistemato in un luogo tranquillo» (pp. 251-252)

La politica, spesso considerata come la dichiarazione di Ciro circa i diritti umani, coincide con il racconto biblico delle azioni del sovrano, in cui Ciro decretò che il Tempio di Gerusalemme doveva essere ricostruito e che tutti gli Israeliti in esilio che hanno voluto unirsi nell’impresa avevano il suo permesso e la benedizione di farlo (Esd 1:1-11). Questo piccolo cilindro di argilla si pone come una impressionante testimonianza, insieme a molti altri reperti archeologici coem abbiamo visto in precedenza, per l’accuratezza storica del testo biblico.

Persino le Antichità Giudaiche di Giuseppe Flavio sono in grado di darci per via assodata una risposta concreta e definitiva. Il Flavio ci regala una testimonianza storica inconfutabile sulla realtà dei fatti profetici con il rispettivo numero di anni che hanno interessato la profezia diretta a re Ciro:

«Nel primo anno del regno di Ciro (era il settecentesimo anno dacché il nostro popolo era stato costretto a emigrare dalle proprie case in Babilonia) Dio ebbe compassione dello stato di schiavitù e della sfortuna di quegli infelici; come Egli aveva predetto loro per mezzo del profeta Geremia, prima della distruzione della Città, | che dopo che avessero servito Nabukadnezzar e i suoi successori e sopportato questa servitù per settant’anni, Egli li avrebbe riportati nella terra dei loro padri, ed essi avrebbero ricostruito il tempio e avrebbero goduto dell’antica prosperità, Egli concesse loro la promessa. Egli scosse il cuore di Ciro e fece sì che scrivesse a tutta l’Asia: Il re Ciro, dice così. Da quando il Dio Altissimo mi designò re del mondo abitato, io sono persuaso che Egli è il dio venerato dalla nazione israelita; | preannunciò, infatti, il mio nome per mezzo dei profeti e (preannunciò) che io avrei edificato il Suo tempio in Gerusalemme nella regione della Giudea”.

Ciro seppe queste cose leggendo il libro profetico lasciato da Isaia duecento e dieci anni prima; questo profeta disse, infatti, che Dio gli aveva segretamente confidato: “È mio volere che Ciro, che Io ho designato re di molte grandi nazioni, mandi il mio popolo nella sua terra ed edifichi il mio tempio”.

Queste cose Isaia le predisse centoquarant’anni prima che il tempio fosse distrutto. Nel leggere tali cose, Ciro prima si stupì della divina potenza, poi fu preso da un forte desiderio e dall’ambizione di fare quanto era stato scritto: e, convocati i Giudei più distinti tra i residenti in Babilonia, disse loro che acconsentiva che se ne andassero nella loro patria e ricostruissero sia la città di Gerusalemme sia il tempio di Dio; | perché, disse, egli sarebbe stato loro alleato ed egli stesso avrebbe scritto ai propri governatori e satrapi che erano nei pressi della loro regione affinché offrissero contributi in oro e argento per la ricostruzione del tempio; inoltre, aggiunge, anche bestiame per i sacrifici». (Antichità Giudaiche xi:1-7 di Giuseppe Flavio | vedi anche Daniele Salamone, Il Verbo di Dio).

Conclusione

Le testimonianze archeologiche presentate in questo articolo che confermano la storia biblica è, in verità, solo una piccola frazione della prova che potrebbe essere accumulata. Infatti, volumi di centinaia di pagine ciascuno sono stati prodotti su tali questioni, e con ogni nuova scoperta si arriva ad ulteriori informazioni che riempiono i testi di archeologia per i decenni a venire. Quanto più scopriamo il passato, più si scopre la verità che la Bibbia è il più accurato e affidabile documento storico mai prodotto.

Note

[1] Alfred J. Hoerth, Archaeology and the Old Testament (Grand Rapids, MI: Baker, 1998), pp.341-352.

[2] Randall Price, The Stones Cry Out (Eugene, OR: Harvest House, 1997), p.267.

[3] John C.H. Laughlin (2000), Archaeology and the Bible (New York: Routledge, 2000), p.145.

[4] Joseph P. Free e Howard F. Vos, Archaeology and Bible History (Grand Rapids, MI: Zondervan, 1992), p.182.

[5] James B. Pritchard, The Ancient Near East: An Anthology of Texts and Pictures (Princeton, NJ: Princeton University Press, 1958), p.200.

[6] Ephraim Stern, Archaeology and the Land of the Bible: The Assyrian, Babylonian, and Persian Periods (732-332 B.C.E.) (New York: Doubleday, 2001), 2:5.

[7] James B. Pritchard, The Ancient Near East: An Anthology of Texts and Pictures (Princeton, NJ: Princeton University Press, 1958), p.201.

[8] William Dever, What did the Bible Writers Know and When did They Know It? (Grand Rapids, MI: Eerdmans, 2001), pp.168-169.

[9] Hershel Shanks, Jerusalem: An Archaeological Biography (New York: Random House, 1995), p.84.

[10] William Dever, What did the Bible Writers Know and When did They Know It? (Grand Rapids, MI: Eerdmans, 2001), p.171.

[11] Daniel D. Luckenbill, Ancient Records of Assyria and Babylon (London: Histories and Mysteries of Man Ltd., 1989), pp.200-201.

[12] Hershel Shanks, Jeremiah’s Scribe and Confidant Speaks from a Hoard of Clay Bullae (Biblical Archaeology Review, 1987), p.61.

[13] Alfred J. Hoerth, Archaeology and the Old Testament (Grand Rapids, MI: Baker, 1998), p.364.

[14] Hershel Shanks, Jeremiah’s Scribe and Confidant Speaks from a Hoard of Clay Bullae (Biblical Archaeology Review, 1987), p.62.

[15] James B. Pritchard, The Ancient Near East: An Anthology of Texts and Pictures (Princeton, NJ: Princeton University Press, 1958), p.106.

[16] James B. Pritchard, Archaeology and the Old Testament (Princeton, NJ: Princeton University Press, 1958), p.106.

[17] Come citato da Joseph P. Free e Howard F. Vos in Archaeology and Bible History (Grand Rapids, MI: Zondervan, 1992), p.161.

[18] Randall Price, The Stones Cry Out (Eugene, OR: Harvest House, 1997), p.171. | vedi anche André LeMaire, House of David Restored in Moabite Inscription (Biblical Archaeology ReviewMaggio/Giugno 1994), pp.30-37.

[19] Israel Finkelstein e Neil Silberman, The Bible Unearthed (New York: Simon & Schuster, 2001), p.129.

4 Risposte a “Archeologia e l’Antico Testamento”

  1. Ha fatto un ottimo lavoro Sig. Salamone. Bravissimo !
    Anche se secondo me è inutile rispondere ad un complottista, come il signore che Le ha scritto. Molti di questi personaggio non hanno nemmeno la Triennale, e se ne sono provvisti, sono scevri di specializzazioni in discipline e scienze che attaccano.
    Buona giornata,

  2. Davvero incredibile come, a tuo dire, avresti usato il testo di Finkelstein e Silberman per dimostrare la “autenticità” del racconto biblico.

    Davvero bravo ad ingannare i tuoi lettori, complimenti.
    Ma soprattutto, cercavo risposte sul “vuoto quantistico” e uno dei primi risultati è il tuo sito: mi farebbe molto piacere sapere chi ti paga per stare così in alto su uno dei motori di ricerca più famosi.

    1. Gentile Serpico, provi a dimostrare il contrario su ciò che si è detto di Finkelstein e Silberman. L’autenticità di cui si intende parlare è certamente di carattere archeologico, poiché è proprio questo che intende discutere l’articolo.
      Se lei pensa che “inganno” i miei lettori mi dispiace davvero tanto, magari qualcuno che leggerà il suo commento finirà pure per crederci davvero, ma devo dirle invece che (tanto so che non mi crede, ma poco imporat) non sono queste le mie intenzioni sebbene delle false apparenze di inganno potrebbero emergere da chi vuole vederci l’inganno nelle mie parole. Lei crede che l’articolo sia abbastanza convincente da “ingannare” la gente? Chi inganna è colui che nasconde le cose, colui che fugge, colui che si ripara dietro a un pubblico pronto a difenderlo fino alla morte. Anche nel mondo intelettuale esistono gli “estremisti”, lo sa, vero? A meno che devo pensare che con l’articolo ho “ingannato/convinto” anche Lei. Questo da quale posizione lo dice? Da perfetto imparziale oppure è schierato dalla parte anti-biblica?
      Nel mio Blog ho trattato qualcosa sui Quanti da perfetto ignorate che ama tenersi informato, la invito a leggere cliccando qui se è interessato a prendere in considerazione varie ipotesi e ad approfondirle in maniera imparziale. I veri liberi pensatori non hanno nulla da temere su questo.

      E’ comunque evidente che non conosce il funzionamento tecnico dei Blog. Il mio Blog non è un portale nato ieri sera a mezzanotte, ed essendo quindi ricco di materiale che scrivo già da un pò esso si posiziona automaticamente da solo sui motori di ricerca; se alla “quantià” di argomenti trattati si aggiunge anche la “quantità” di utenti che interagiscono (mail, commenti, condivisioni, iscrizioni alla newsletter, insulti, ingiurie, etc. etc.) allora il Blog si posiziona dove e come vuole in modo del tutto autonomo. Già il solo fatto che lei abbia commentato sta contribuendo ad un proficuo posizionamento sui motori di ricerca. Anche tutti quei commenti ricchi di parolacce e insulti che non approvo aiutano il blog a posizionarsi da solo. Se mai non dovrebbero essere gli altri a pagare me, ma dovrei essere io a pagare Google, ma come può vedere il dominio del sito è pure di secondo livello (.altervista.org), il che significa che non sgancio un centesimo né di abbonamento annuale né per avere una migliore posizione sui motori di ricerca. I domini di secondo livello sono e rimarranno sempre domini grauiti. Anzi, posso dire che essendo di secondo livello ho molte restrizioni, altrimenti sarei in ogniddove! Se potessi permettermi un dominio di primo livello (danielesalamone.org) sicuramente mi farei realizzare un Blog su misura, decisamente migliore, più funzionale, più professionale, proprio per come me lo immagino io, ma quello che ho già mi basta per le cose che intendo fare.
      Se ci sa fare con i Blog, con le keywords, con le impostazioni SEO e soprattutto se sa anche scrivere (bene o male non so, ma quanto meno cerco di essere chiaro), allora non occorono soldi né niente per far funzionare un blog. Occorre pazienza, tanta pazienza, che non mi manca, perché credo nel mio lavoro.

      Concludo dicendo che se intende accusare la mia persona anziché discutere seriamente sul tema dell’articolo, sarò costretto ad ignorare tutti i commenti che intenderà mandare (sempre se lo farà) d’ora in avanti. Se vuole insultarmi, screditarmi, svergognarmi questo può farlo scrivendomi per email, ma se le sue intenzioni sono realmente queste ci ripensi, perché in quel caso se la vedrà con la polizia postale. La prego di avere un tono decisamente più signorile e professionale se intende commentare in pubblico.

      Cordialmente,

      Daniele

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